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Il racconto dei saggi e le pratiche vaccinali

Aggiornamento: 7 lug 2021

Se Dio esiste, come può permettere la sofferenza dei bambini?

Mi prendo la licenza di considerare bambini i nostri giovani, i nostri ragazzi, i figli e i figli dei figli.

Nonno e nipote che ridono

Io dovrei averne tanti, di figli. Non scrivo solo dei miei, ma di quelli che incontro ogni giorno, che mi passano accanto, accarezzandomi con ventate di gioia, o di fastidiosa indolenza e dei quali leggo e ascolto le recriminazioni e le speranze. A quasi 68 anni, dovrei perlomeno averne dietro due generazioni, o una e mezza.

Il dubbio di Ivan Karamazov, quello sulla sofferenza e sulle lacrime dei ragazzi, quanti di noi lo hanno tenuto nel cuore, con la paura di doverselo chiarire, di doverne dare risposta?

La sofferenza giovane, la morte giovane, l’incomprensibile, l’innaturale, l’inconcepibile.

Eppure oggi si afferma che “i giovani devono proteggere gli anziani”- quelli tra gli anziani che, evidentemente, temono la morte e il dolore.

E quindi devono vaccinarsi perché non si corra il rischio che noi anziani si possa venire da loro contagiati.

Vaccinarsi con un vaccino in fase sperimentale. E, attenzione, io non contesto che lo sia. Per la dialettica costo/beneficio è giusto che noi anziani ci si debba accostare alla vaccinazione. Ma considerato, per loro, per i nostri figli, per i nostri nipoti, il rapporto costo/beneficio, mi pare assurdo che i giovani debbano sottostare alla pratica vaccinale. Almeno fino ai trent’anni, non essendo stata segnalata letalità da Covid in questa ampia fascia d’età. E, se noi anziani siamo o saremo vaccinati, perché correre il rischio che i giovani, i figli, corrano rischi ben superiori a quelli cui sarebbero destinati con il contagio?

La scienza afferma che su milioni di seconde dosi inoculate ai giovanissimi, il vaccino causerebbe 70 casi di miocarditi ma eviterebbe 5700 infezioni, 215 ricoveri e 2 morti, il che vuol dire che causerebbe 70 miocarditi ai nostri ragazzi, e il vaccinarli eviterebbe 5700 contagi, 215 ricoveri e 2 morti a noi anziani. E ci risiamo, loro dovrebbero correr rischi per salvaguardare noi. Sebbene tanti medici, assolutamente favorevoli alle procedure vaccinali, affermino che saranno proprio gli asintomatici a consentirci di arrivare alla fine della pandemia (e, per non esser tacciato di indebita intromissione nei ragionamenti dell’Areopago scientifico, sebbene io pretenda che il mio scritto debba essere valutato solo sul piano etico, segnalo che quanto appena riferito è tratto da un articolo di Giuseppe Remuzzi, direttore scientifico dell’istituto farmacologico Mario Negri, sulla base di una serie di lavori pubblicati dalla testata Clinical Infectious Disease e, successivamente, su Nature)

Ma poi, il soffrire e il morire, noi anziani, non l’avremmo dovuto tenere in conto?

Hermann Hesse, il vecchio e amabile filosofo e letterato, nel suo libro “Le Stagioni della Vita”, affermava :

“Essere vecchi è un compito altrettanto bello e santo quanto essere giovani…imparare a morire e morire sono una funzione altrettanto preziosa di ogni altra…un vecchio capace di odiare soltanto…e temere l’approssimarsi della morte, non è un degno rappresentante della sua età…”

O abbiamo, noi anziani, tanta paura della morte da invocare per i figli, la generazione a venire, questo terribile rischio? E la lezione di Hesse?

Dice bene Ivan Karamazov, dice bene Dostoevskij:

“Se tutti devono soffrire per comprare con la sofferenza l'armonia eterna, che c'entrano qui i bambini? … È del tutto incomprensibile il motivo per cui dovrebbero soffrire anche loro e perché tocca pure a loro comprare l'armonia con le sofferenze. Perché anch'essi dovrebbero costituire il materiale per concimare l'armonia futura di qualcun altro?

Perché anche i giovani dovrebbero costituire il materiale per concimare l’armonia futura di qualcun altro?”

Eppure si sperimenta il vaccino nella fascia d’età da 6 a 12 anni (per incompetenza, per furia iconoclasta, le immagini sacre dei fanciulli, per paura, per che cosa?)

Vedo attorno vecchi spaventati, come se l’olocausto di Ifigenia dovesse venire invocato da odierni Achei, per ingraziarsi gli dei e per godere ancora, come se non fossero già bastate, delle piacevolezze del mondo. Che si sacrifichi Ifigenia!

Eppure, quale fremito d’orrore dai testi che raccontano delle antiche cosmogonie, dei riti celebrati con il sangue dei giovani da crudeli sacerdoti. Quante volte, nella vita, abbiamo con raccapriccio qualificato come selvaggi, i sumeri, gli Incas, i polinesiani, gli assiri, i Dori, e la rupe Tarpea, che ci faceva inorridire, noi che eravamo e siamo civilizzati? Ma adesso? Adesso che si chiede a noi di rinunciare a quei sacrifici? Seppur rischiando di nostro? Vedo volti sparire, vedo lingue mute, gente che si nasconde, atterrita dalla propria viltà. Ed è tutta gente della mia età, che non risponde, fugge, s’apparta e indica, con dito adunco, il giovane che passa accanto.

Persino il Mito, una delle tante leggende arcaiche, ci ha consegnato esempi di purezza, di tenera difesa dei figli, delle giovani generazioni. Pensiamo al re licio Sarpedonte che, chiamato da Priamo in aiuto della città di Troia assediata, lasciò a casa i guerrieri giovani, in modo che provvedessero al futuro del suo villaggio, ed esortò così i vecchi in armi, all’approssimarsi del feroce nemico:

“Amici, se una volta sopravvissuti alla guerra, noi non dovessimo mai invecchiare, né morire, allora io non combatterei nelle prime file, né vi esorterei alla battaglia, gloria degli uomini; ma, poiché in ogni caso ci sovrastano i destini della morte, che nessun mortale può sfuggire o evitare, avanti”

Visto che non possiamo evitare, prima o poi, la morte, che senso ha sacrificare i figli? Che combattano e muoiano i padri. Questo ci suggerisce il “barbaro” Sarpedonte

Ma questi tempi sono tempi di guerre e tempeste. Abbiamo appena lasciato il secolo breve, vergognosamente ornato dal sangue di milioni di giovanissimi, versato in due guerre spaventose. Quando venivano vomitati, sui campi di battaglia, quei giovanissimi in armi, e dagli stati generali, per l’orgoglio, la vanagloria e la sete di vittoria di vecchie cariatidi, di politici ammuffiti, di imboscati maturi e consenzienti.

Da quando l’Umanità si è messa in cammino, è il vecchio che fa strada al giovane, è l’anziano che costruisce il futuro delle generazioni. A che serve sacrificare i giovani per un mondo di vecchi?

Lo psicoanalista Lowen, creatore della bio energetica, in “Paura di vivere”, testo che consiglio di leggere e su cui riflettere, afferma:

“"Il vecchio non può più sostenersi su due gambe, quindi ha un bastone. Non può aspirare a essere divino. Si avvicina alla fine del viaggio della vita ed è stanco. Accetta la sua mortalità e così la morte perde il terrore. Dai vecchi spesso la morte è considerata un riposo meritato, una fine gradita della fine della vita, un ritorno alle origini. In molte culture primitive i vecchi vanno volontariamente a morire per non essere un peso per le giovani generazioni. Lo fanno senza paura”.

Eppure si colpevolizzano i figli e i nipoti in quest’era senza etica e senza dignità. La morte giovane, a diciotto o a trent’anni, come è già accaduto, dopo il vaccino, per accidente rarissimo, certo, un colpo di falce inaspettato, dovrebbe fare tremare e inorridire. Ne morisse uno su un miliardo! Come pare sia, ma pare anche che la Scienza proceda per tentativi e tali tentativi, talvolta e non sempre, possono reclamare il sacrificio dei pochi per il beneficio dei tanti. Anche se i pochi sono giovanissimi e i tanti sono centenari

E per cosa, noi si vuole che i giovani corrano rischi? Per consentire qualche viaggio, o una allegra senile vacanza in più, qualche visita annoiata da parte di noi anziani a polverosi musei, qualche carezza, senza timor d’essere contagiati, ad un nipote piccolino? Davvero tanto poco amore siamo capaci di riversare sui nostri figli, sui nostri bambini, sul futuro?

Davvero possiamo consentire che corrano anche un minimo rischio quando, con il contagio, loro non ne correrebbero nessuno?

Noi, siamo noi che dobbiamo valutare il rapporto rischio-beneficio ed agire di conseguenza. Senza pretendere un sacrificio che mi appare inconcepibile. Seppur prevedesse anche una sola vita spezzata nel fiorire degli anni.

Si acquietino i desideri. Si passi all’ascolto dell’anima e non si confondano le voglie del più sfrenato consumo con l’etica del vivere civile. Coetanei miei, mi auguro riflettiate su quanto sta accadendo, sull’odio che si riversa su coloro che non paiono assecondare le indicazioni folli degli Arconti della politica e della finanza e del Nuovo sacerdozio scientifico, e che si risvegli in voi un sussulto di umana, genitoriale pietà. Che ognuno si assuma le proprie responsabilità, che ognuno prenda le decisioni che spettano all’avanzare dell’età. Ricordo che in epoca romana, i patres avevano diritto di vita e di morte sui figli. La patria potestas non indicava soltanto un istituto giuridico atto a tutelare i figli, obbligando i padri al loro accudimento, ma era un vero e proprio atto di completa sottomissione, al genitore maschio, di tutti coloro che vivevano in una Domus familiae, di tutti, figli, mogli, schiavi, animali. Fino alla morte del padre. E l’omicidio del figlio non contemplava riprovazione da parte della Comunità. Viceversa il parricidio da parte di figli esasperati era esecrato dalla società romana, in epoca monarchica, in età repubblicana e durante l’impero. Per i parricidi l’esecuzione prevista era particolarmente cruenta.

Ma quella era una società autoritaria, durissima, spietata, una società pronta a combattere, invadere, uccidere e rendere schiave le popolazioni vinte; mentre, in ogni Comunità dove vigono amore e rispetto reciproco, l’abominio dovrebbe essere rappresentato dall’omicidio del figlio da parte del genitore. Ma, anche oggi, disturba la superficialità con la quale i figli vengono indotti, talvolta con durezza, a scegliere tra opzioni diverse, che siano di lavoro, di studio, piacere o cura della salute. Anzi, talvolta sono i genitori a scegliere per loro, come se ancora fossero sottoposti a “mancipium”, nei rapporti patrimoniali ed affettivi, proprio come duemila anni fa

Pertanto vi chiedo non solo comprensione, ma attitudine al ragionamento, alla protezione dei giovanissimi, al loro completo accudimento. Evitate loro rischi, già abbastanza ne corrono in questa società distratta. E che le parole d’ordine, gli inviti interessati, le giaculatorie televisive passino in secondo piano, davanti all’amore per i figli, non intendendo solo quelli che abbiamo procreato, ma proprio di tutti, di tutte le nuove generazioni a venire, e chi vuole, o può intendere- che generalmente è più difficile- intenda.


MAURIZIO CASTAGNA


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