Avrei dovuto scrivere ragionamenti scevri da intelligenze di parte o appartenenze settoriali.
È uscita la sentenza dell’avvocatura generale della Corte di Giustizia europea contro la superlega.
A rigore, da cittadino probo, da sportivo leale, da tifoso del Napoli, avrei dovuto gioire per l’ennesimo “calcio in bocca” al più presuntuoso della casata Agnelli. Un arrogante (tale si mostra lui stesso, disprezzando le norma civilistiche) bamboccione (ricorro ad una citazione insigne di un ministro dello Stato, sdoganata per tutti gli italici sotto i 40) che, senza natali illustri, probabilmente avrebbe fatto il ragioniere in una ditta dell’hinterland torinese, senza acuti professionali e con tanto livore nei confronti dei colleghi. Gli fosse andata bene, parere personale in attesa di contestazioni.
E invece no. L’avvocato generale non dà parere positivo alle ragioni dell’UEFA e della FIFA in punta di norme riconosciute e scritte, o di consuetudini accettate. Quelle che i greci chiamavano, le une e le altre, nomoi gegrammenoi e nomoi agraphoi.
Il greco Rantos, che sull’ordinamento delle poleis dovrebbe avere qualche nozione, giustifica ogni tipo di reazione di Fifa e Uefa, anche fortemente sanzionatoria, riconducendo la acclarata posizione dominante ad un obiettivo sociale (fa già ridere così, pensando al mondo odierno del calcio) che non può essere messo in dubbio non solo dalla arroganza di un Peres o di un Agnelli, ma da alcuno che voglia ringiovanire le organizzazioni sportive nazionali e globali, immettendo nel sistema nuova linfa, fatta di brillanti iniziative e di sostanziali novità.
Specialmente nel mondo amatoriale, dove si è competitori per scelta, questa sorta di enclave chiusa fa un po' paura.
Andiamo avanti
L’avvocato generale suggerisce che, ogni eventuale nuova proposta, debba essere sottoposta a valutazione preventiva, senza che, un eventuale diniego, possa aprire le porte ad un possibile appello. E che, questa procedura, non altera le norme di libera concorrenza previste dall’ UE
Rantos rivendica alla gestione piramidale dello Sport (in genere e del calcio in particolare) una capacità intrinseca di raggiungere gli obiettivi di equilibrio e di sana competizione che, per il fatto stesso dell’esistenza dei vari comitati olimpici, delle federazioni nazionali ed internazionali, non possono essere messi in pericolo o soltanto in dubbio da qualsiasi organizzazione, ente, persona, che ne mini la legittimità. Quindi, la sola circostanza che, nel ventesimo secolo, gli uomini abbiano pensato di dare veste organizzativa e giuridica al mondo dello sport impedirebbe che una ventata di aria nuova, la rivendicazione di diritti misconosciuti (ovviamente non mi riferisco né a quelli di Florentino Peres, né a quelli di Andrea Agnelli) la circolazione di nuove e brillanti idee, possano scalfire il monolite rappresentato dagli organismi sportivi nazionali e sovranazionali. Che, fatta salva la buona fede, la chiara disposizione d’animo e la naturale correttezza di molti dirigenti sportivi, appare oggi macchiata da fin troppi scandali e vergognose collusioni.
Rantos, al contrario, filosofeggia di una giustizia sportiva eccellente, di sane competizioni, di un sistema trasparente che non possono essere messe in discussione da alcuno e da alcunché. E che, sebbene in certi casi si sia difronte ad una evidente attività economica, il carattere sociale speciale di quell’attività economica può giustificare la disparità di trattamento sotto certi aspetti. Che, tradotto, significa che se qualcuno ci guadagna e tanto, altri ne pagheranno le conseguenze sia in termini economici che di giustizia sportiva e sociale, o di sana partecipazione alle competizioni. Fa nulla, considerato l’alto valore sociale dello sport.
Significa che, un Sistema, per il solo fatto che esista, può pretendere che i propri dirigenti, funzionari e rappresentanti, civili e politici, si possano comportare da oligarchi, senza censure, senza un sano ricorso ad un dibattito, ad una controversia da valutare nel merito, ad un progetto nuovo che scalzi via vecchie procedure utili solo a garantire loro vantaggi di ogni tipo.
Nella storia degli uomini abbiamo assistito, nel corso dei secoli, alla edificazione di simili monoliti. Imperi, dominazioni, la stessa religione variamente rappresentata nei “credo” più diversi, hanno ceduto il potere soltanto davanti all’uso delle armi, più che della ragione e del sano dibattito culturale e politico.
Quindi, niente di nuovo sotto il sole. Per concludere, due esperienze personali che definiscono quanto ho cercato di chiarire.
Ricordo infatti che, quando partecipai per la prima volta alla Capri-Napoli, non essendo normate ancora le gare in acque libere dalla federazione nuoto internazionale, come oggi, ma da una associazione internazionale di maratone a mare, mi ritrovai squalificato a vita per la FIN. Palese ingiustizia, visto che non rivendicavo titoli federali, avrebbero potuto considerare quella come una prova in solitario e non una gara definita professionista. Oggi, posso dire che aprimmo un varco. Ramos, avrebbe urlato alla lesa maestà.
Inoltre, e qui il parere di Ramos, a mio avviso, vacilla, non è proprio possibile affermare che la giustizia sportiva sia salomonica ed imparziale. Ho esperienza delle procure federali e, fatta salva la probità intellettuale di alcuni (pochi) giudici di settore, quelle sono centri di potere e scambio di favori, e certi “procuratori” sono macchiette indecorose.
Infine, che gli dei mi perdonino, quello nell’alto dei cieli e Diego Armando, per aver, indirettamente, difeso la superlega dell’odiato Agnelli. Lungi da me, ne ho fatto una questione di principio, come la mia percezione di studioso di storia mi suggeriva. Quindi, come sempre, che la Juve finisca nel purgatorio dell’eccellenza e i suoi dirigenti squalificati e vita e che il mio Napoli vinca lo scudetto, che giustizia sia fatta
MAURIZIO CASTAGNA
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