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Senatus consultum ultimum - Chiesa e Stato, analogie ed obiettivi comuni

Quando, durante l’ultima era repubblicana, i senatori credettero di poterne fare a meno, del

Mani nell'atto di stringersi

foedus tra governanti e governati, grazie al decreto detto “Senatus consultum ultimum” – e che fu applicato per ben 14 volte- mettendo coloro che a detta dei padri coscritti risultavano essere nemici della Patria nelle mani di chiunque potesse o volesse ucciderli, ne pagarono caro il fio

Una sorta di legge marziale applicata ai cittadini romani, una dichiarazione di stato di assedio. Per eterogenesi dei fini, il mancato rispetto dei patti repubblicani portò, ed anche rapidamente, al dominio del Princeps prima e a quello degli Imperatori per diritto divino poi. Intelligenti pauca.

Questo per dire che, l’abolizione delle garanzie costituzionali, è un male, non strettamente necessario, da tempo immemorabile.

In tempi recenti furono gli inglesi ad abolire le garanzie costituzionali durante i Troubles in Irlanda del Nord e gli spagnoli, più tardi, con le leggi speciali applicate agli indipendentisti catalani sotto processo.

Oggi sembra che, nel nostro Paese, una consuetudine che possa fare a meno del patto tra Organismo Sociale e Istituzioni dello Stato, sia preferibile al confronto parlamentare. Con decreti che di democratico hanno ben poco e di rispetto dei principi della Carta costituzionale ancor meno.

Si badi che questo mio ragionamento non entra nel merito degli obblighi imposti dai decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Né sulle affermazioni degli scienziati che ne caratterizzano i presupposti.

Non sono un esperto del settore e non è questa la sede per discuterne.

È proprio un assunto di tipo etico.

Del resto, subire passivamente le decisioni dei dominatori senza chiederne ragione è proprio della nostra Cultura. Di quella Cultura che, finito l’ellenismo e la felice era dell’intuizione filosofica, piombò in un antropocentrismo tutt’altro che etico, espressione del Potere e dei mezzi, quali fossero, capaci di conquistarlo e difenderlo anche sanguinosamente. E durante i quali si imposero dominazioni imperiali e, contemporaneamente, quasi a sugello e a specchio di quelle, il potere temporale della Chiesa di Roma. Con un presupposto di fede assolutamente originale rispetto all’insegnamento dei Vangeli, con il quale si andò affermando l’idea che non ci sarebbe stata salvezza se non militando all’interno della stessa Chiesa. Professione di fede, in sostanza, in quel potere temporale che, ancor oggi, in tempi di riflessioni pur moderniste dei pensatori cattolici, da Maritain a de Lubac, non ci permette di dirci cristiani senza aver aderito ed obbedito ai dogmi della Chiesa di Roma che, pure, fu percorsa dai fremiti al limite dell’eterodossia di Ficino, Moro e Cusano. Non vivono una stagione migliore i protestanti, delle centinaia di chiese e di piccole congregazioni create sul presupposto che il potere esercitato dalla Chiesa di Roma fosse troppo opprimente e materialmente insopportabile. E finite, pur negando valore al concetto di dogma e per eterogenesi dei fini, a dettare regole e comportamenti vincolanti per i propri fedeli, considerati come soldatini di una missione salvifica.

Perché questa similitudine, tra il potere temporale della Chiesa e quello delle democrazie capitaliste e colonialiste?

Perché se l’etica è un presupposto della fede, come ne sono corollario il rispetto della verità, l’amore per il prossimo, la centralità della Persona che, come scrisse pure l’aquinate, è un nome che esprime una dignità, come è stato possibile che il colonialismo che caratterizza ancor oggi l’attività predatoria del primo mondo, sia stato benedetto, senza alcuna resipiscenza, dai fautori del potere temporale della Chiesa e dall’attività dei suoi missionari per la cristianizzazione dei “selvaggi”? Certo, poggiava le sue basi, la certezza dell’essere nel giusto dell’uomo bianco, sulla concezione vetero testamentaria del “popolo eletto” che, dalla nazione ebraica passò, per convenienza ma anche per convinzione, ai dominatori anglosassoni del pianeta. Con una parentesi atroce che vide protagonisti i popoli neolatini che, al contrario, sull’onda della potenza romana, che fondò il proprio impero millenario non sulla fiducia nei vaticini ma sulla forza travolgente dei suoi eserciti, si presero una parte di mondo, continuando, come i primi, a convertire nel nome dell’unica vera fede. Anche qualora i suoi ministri si presentassero con i fucili e le spade dei dominatori.

Molti si son chiesti perché non possiamo dirci tutti salvi, battezzati e non battezzati, in base all’amore, alla carità, alla fraterna condivisione, alla scelta del bene quale faro di vita. E, i cristiani, per l’asserzione di fede nella Croce e dunque nell’ incarnazione, nella resurrezione e dunque nell’eucarestia.

Pare non basti, perché i dogmi ci impongono di seguire le procedure e le regole imposte dal magistero. Dimenticando che essi non sono i principi fermi della dottrina, ma l’insieme delle verità in cui credere secondo la Chiesa di Roma, proprio al contrario di quel che affermò san Paolo (“Così Egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti” -Ef 2,5)

Allo stesso modo, i governi ci impongono di seguire dei dogmi di comportamento sociale che non possono venire contestati, non possono essere ribaditi e discussi, pena l’ostracismo morale e civile. E la nostra Cultura, l’abitudine a seguire i dogmi, le regole, le norme, ci impedisce di contestarne l’Autorità.

La democrazia liberista non ci consente di essere “veramente” liberi, vincolati come siamo alle forche caudine del pensiero integrato e conforme, quello che non consente recriminazioni, opposizioni e pensieri difformi, e che ha nelle divinazioni dei media i suoi oracoli, come fossero la Pizia e la Sibilla, abilmente indirizzati, come queste, dai sacerdoti e dagli efori, per disonorevoli interessi

E, dibattendo del contrario, per evitare di essere additati in modo sprezzante si dovrebbe avere la forza, e la faccia tosta, di adeguare il pensiero alle opinioni correnti, come ci si dovesse confrontare solo con coloro che hanno le medesime convinzioni, ed allora, il confronto stesso, sarebbe inutile, ed è proprio questo, in fin dei conti, ciò che si vuole.

Questi tempi così vaghi, non potrebbero esprimere né la terribilità dei Papi dell’Inquisizione, né la ferocia dei tiranni dell’era moderna. Improbabili predicatori ti raccomandano di essere buono e giusto e di fare la carità. E, per di più, di obbedire a Cesare-dimenticando che, con questa asserzione, Gesù preannunciava il regno dello Spirito, così distante dagli affanni umani, dalla bramosia del potere, quasi indifferente alla miseria dei desideri. Come se poi non sapessimo di dover perseguire verità e giustizia, come se non avessimo bisogno invece di parole forti che pretendano sacrificio e forza d’animo.

Allo stesso modo, assentiamo ad una casta di corrotti e pavidi che si ergono a giudici e carcerieri dell’intero popolo italiano. La nostra acquiescenza affonda le radici non nella libera esternazione del pensiero, ma nell’abitudine al servigio, alla disciplina richiesta allo schiavo, quando non solo la capacità di combattere è preclusa, ma è addirittura impedito l’esercizio del pensiero, della speculazione intelligente.

Ripeto, di questo invito alla disobbedienza o, almeno, all’obbedienza ragionata, ne faccio solo, e ciò basta, un’asserzione etica.

Perché, come è solito dirsi, la scienza sa (non sempre e non sempre secondo gli stessi canoni e non per sempre con le stesse ragioni) ma l’etica valuta, l’intelligenza comprende e la volontà opera.

Oltre, e a differenza, c’è solo l’abisso

MAURIZIO CASTAGNA

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