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Se fossero bastati i dogmi, non sarebbe stata necessaria la Croce

Se fossero bastati i dogmi, non sarebbe stata necessaria la Croce.

Se fossero bastati all’istinto libero dell’Uomo, alla sua natura di esploratore di terre e di anime, oggi vivremmo una vita schizofrenica, una doppia esperienza, lontane, la prima natura selvaggia dalla seconda ottusa e persa, quanto le galassie più antiche, sorte nella prima espansione dell’Universo, dalla nostra, scaldata da un sole paziente. Se fossero bastati, avremmo una religione senza sale, una vita ordinata ma senza speranza, e senza sussulti. Avremmo difronte il povero che chiede a noi che elemosiniamo. L’oppresso che urla e noi a reclamare, ipocriti benpensanti, diritti e cittadinanza, fieri della nostra esibizione da parata nel giardino dei giusti. Se fossero bastati i dogmi, in questo mondo niente sarebbe come sembra e tutto si mostrerebbe diverso da come in effetti pare che sia. Se fossero bastati i dogmi e non avessimo avuto bisogno della Croce, oggi acconsentiremmo ad ogni impudente intromissione nella nostra vita privata, ad ogni ordine impartito dall’Autorità, condito dall’elaborazione del Mistero e dall’evocazione del Miracolo laico. I tre cardini, Autorità, Mistero e Miracolo di ogni evidente, perlomeno decente applicazione del Potere. E, se fossero bastati i dogmi, sarebbero legittimi i desideri, tutti quelli su cui saremmo capaci di fantasticare, e noi avremmo diritto a plasmare su di essi le nostre convinzioni. Se non fosse necessaria la Croce, le anime ingenue non si struggerebbero in obblighi per il disperato, per il depresso e per il vinto. Per quelli che restano soli, paria della società opulenta, giovani persino, come ci mostrò quel programma televisivo, quel biondo, grosso ragazzo che piangeva la sua disperazione nel freddo di Milano, senza amici, senza fratelli, perso, stella vagabonda tra stelle vagabonde, nel Labirinto di Borges. Stella adolescente tra ammassi di vecchie galassie, noi come vecchie cariatidi vergognosamente adagiate nei propri privilegi, e sembrò fugace la nostra commozione, ma da allora, come lui tanti, non ci abbandonò più. E l’Autorità-rappresentando la collettività e dimentica che ogni collettività ha l’obbligo di rispettare la sacralità d’ognuna delle unità/personalità che la compongono- l’Autorità si picca, gonfia e tronfia di dogmi, lontana come anti materia dalla materia viva, di voler insegnarci la solidarietà. A noi poi, che abbiamo bisogno della Croce. Ognuno vivrebbe, se bastassero i dogmi, nella pienezza ingannevole di un’esistenza virtuale, dissolta in verità cangianti, vere all’apparenza, false nella sostanza. Un mini cosmo velato, di soli che appaiono e scompaiono come i desideri e le cose sognate, agognate e perdute. Se fossero bastati i dogmi, non ci sarebbero più concili, nessuna assise di uomini saggi e di uomini inconsapevoli, con eguale diritto di pensiero e parola in nome del sacro che è in ognuno di essi, e chi mai avrebbe la forza e l’intelligenza per opporsi al capriccio del potente e alla sorte beffarda, evocati incessantemente, l’uno e l’altra, dal sibilo della frusta del carnefice mentre tormenta la carne del prigioniero? E poi, a che pro, opporsi all’Inquisizione? Se bastassero i dogmi, chi alzerebbe il braccio a difesa dello schiavo, chi laverebbe le piaghe del malato, chi accudirebbe l’alcoolista, il fumatore ed il drogato, chi darebbe lavoro al ladro, chi accetterebbe le ragioni del contraddittore, le necessità, i dubbi, le perplessità dell’altro, chi ammetterebbe le proprie colpe, i propri errori, le cadute, le infamie, le meschinità? Chi oserebbe opporsi al Potere, se nessuno avesse sfidato e vinto la Morte sulla Croce? E se ciò è vero, o almeno se ciò è quello che ci intriga, risorgere nello Spirito essendo impossibile evitare la fine della carne, a nessuno di noi sia consentita la resa, la viltà, l’abbandono della speranza, il rifiuto della Carità, unico viatico per la redenzione. La redenzione, comunque la si voglia concepire, per qualsiasi via la si voglia incontrare, in qualsiasi maniera la si voglia interpretare, è l’unico modo che conosciamo per vivere in eterno o, almeno, nei ricordi di chi resta, fottendocene dei miseri sforzi di chi s’illude di campare nei secoli su questo piccolo pianeta, opponendosi strenuamente e con deplorevole ansia all’inevitabile fine, sacrificando il povero per il ricco, lo stolto per l’astuto, il ragazzo per il vecchio. E mortificando l’essenza stessa dell’uomo, che guarda alla luna come quel pastore illuminato, e alle vaghe stelle dell’Orsa come quel ragazzo dal cuore oppresso dalla malinconia. Se fossero bastati i dogmi, ognuno fornicherebbe con l’ambizione e la cupidigia, pronto a rivaleggiare con chiunque e a qualsiasi costo, e per traguardi effimeri, a rendersi schiavo dei desideri e delle smanie, costasse l’umiliazione del vinto, la perdita del decoro, il muto rimprovero dei saggi. Se bastassero i dogmi e gli anatemi, oggi il privilegiato avrebbe ragione a non curarsi del disperato, il benestante del povero, il sano del malato, gli amici dei nemici. I vincitori dei vinti. Ma se oggi ci appare indispensabile che le verità siano considerate provvisorie, e che non esiste altro miracolo che quello inconcepibile della morte volontaria di un Dio su un pezzo di legno intriso di sangue, oggi è necessario, inevitabilmente, che le sensate esperienze si confrontino, e che ogni vita umana sia considerata un valore, protetta ogni oltre ragionevole dubbio, in ogni ambito dell’agire e del sapere: nessuna vaghezza di pensiero, nessuna legge, nessun Creonte può imporre un punto di vista che non ammetta quella sacralità, non tollerando il legittimo sospetto, l’opposizione sensata, l’ umana necessità del confronto. A meno che qualcuno non voglia offrirsi alla gloria del mondo e al tripudio delle masse mascherato con le vesti di Dio, ma evitando accuratamente, beninteso, lo strazio del Golgota. Questa società vive una democrazia fatta di parole d’ordine, ossimoro della libertà, sbandierando diritti, diritti dei quali se ne può far l’uso che se ne vuole, nel bene e nel male. E risulta documentato, con i fatti e le plausibili dimostrazioni, che i diritti, qualsiasi diritto che una parte del mondo voglia concedere all’altra, sono dunque estranei alla giustizia e alla compassione – dimostrarsi comprensivi a parole o con plateali dimostrazioni di benevolenza, vuote e pacchiane, non costa nulla, non diminuisce i propri privilegi, anzi li accresce. Solo chi è uso credere nei dogmi può reclamare diritti, imporre diritti e concedere diritti. E sbandierare diritti, ed issare diritti sull’albero della cuccagna- o si chiamava della libertà?- un sistema perverso per godere della propria immunità, delle proprie guarentigie, illudendo masse vocianti e benedicenti la generosità del Principe. A noi quei dogmi non solo non bastano, e non hanno cittadinanza nel nostro cuore, laici o religiosi che siano i sacerdoti che li abbiano promulgati, norme o decreti o editti che siano, ma nemmeno vogliamo che qualcuno ce li imponga. Perché, gli obblighi verso gli ultimi, il disperato, il vinto e l’oppresso, se davvero ci necessita quel simbolo di legno, se ci intriga il Logos, ce li imponiamo da noi stessi. Obblighi, presi in prima persona, non diritti declamati a voce, diritti di cui ci riempiamo la bocca e che dimentichiamo con un’alzata di spalle o con effimera inginocchiata. Noi abbiamo bisogno del contraddittorio, di condividere sensate esperienze, ipotesi e tesi, i documenti sgualciti nei faldoni, competenze e incompetenze, di dibattere, discutere, combattere, vivere, mentre al Potere altro non interessa che l’applicazione del dogma. Abbiamo bisogno di negare all’Autorità il diritto di pronunciare la parola miracolo, chè l’Uomo di miracoli non ne fa, piuttosto si industria a far bene. Abbiamo necessità di opporci ai divieti dell’Autorità quando l’Autorità nega all’uomo il diritto alla libera e ragionevole opposizione. Noi abbiamo diritto allo scontro, seppure possa significare rinuncia ai beni del mondo e al nostro stesso esistere, perché lo scontro duro, ma giudizioso e cauto, fermo e corretto, è sale, è vita, è Bellezza. Perché a noi i dogmi non son mai bastati, a noi necessita la Croce. E per noi l’unica ortodossia possibile resta la critica sensata, accurata, dimostrata, ai dogmi che vorrebbero imporci. Quando ci parlano del bene, è perché i loro beni sono in pericolo, quando ci invitano all’obbedienza è perché il loro potere vacilla. Quando, al libero dibattito, al confronto civile, oppongono il “si quis negaverit…anathema sit” Noi siamo fratelli di fratelli che non chiedono e mostrano passaporti, di partito, di patria e di censo, ma che, con noi, condividono utopie. Noi non vacilleremo né per paura né per lusinga. A noi non bastano i dogmi, a noi necessita la Croce MAURIZIO CASTAGNA

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