Forse rendere paradigmatica l’importanza della donna, la sua centralità nel mondo
mediterraneo può provocare mal di pancia in coloro che non conoscono la storia e la cultura ad essa legata, ma leggono solo la cronaca e si abbeverano alle serie cult che la televisione propina.
Le donne del mondo rurale, nascosto, del nostro Mediterraneo ma soprattutto della Sicilia, la Sardegna e il Sud della Penisola, aderiscono non all’immagine vergognosa ma oramai stereotipata delle donne capo mafia o capo camorra, in assenza del marito o del capo clan, ma ad un archetipo che nasce nella culla del matriarcato e si sviluppa sino a quando le invasioni indoeuropee ne distrussero l’organizzazione sociale e il culto della Grande Madre (le dee Astarte, Tanit, Cibele). E, guarda caso, gli invasori, benché meno colti, avevano dalla loro una incredibile sapienza guerriera e godevano dell’invenzione di armi distruttive per i tempi, come l’arco e il carro da guerra. Tutti portati dell’uomo, meglio, del maschio.
Adelina Bonura, militante comunista che parla di Giuliano e della lotta per la sopravvivenza nella Sicilia dell’immediato dopoguerra, è figura decisa, sa cosa vuole, come si lotta, chi rappresenti il bene e chi il male ad onta delle norme scritte. Chi può farle del male e chi no, in nome dei principi non scritti che, appartenenze ideologiche o meno, non cancellano il millenario comune sentire. E la stessa madre di Giuliano, prima di accettare suo figlio come bandito e fuorilegge, indica alla famiglia prima la via delle Americhe, poi quella del ritorno e senza che il marito, Salvatore senior, possa discuterne. Indica la terra come casa, come rifugio, come lavoro. E i diritti che ne discendono.
Viene da ridere quando si pensa che l’emancipazione femminile sia stata concessa ed accettata con il voto democratico. La donna emancipa se stessa nel mondo mediterraneo semplicemente rivolgendosi al passato. Le donne di Bagnara in Calabria sono la rappresentazione, per antonomasia, della forza e del coraggio. L’uomo va per mare ma la donna ne guida l’esistenza. E non solo come educatrice dei figli. E pretende rispetto e obbedienza. Partecipa alla ricostruzione dopo la guerra, gira la penisola vendendo mercanzia, porta sulla testa il pescato, decine di chili di pesce spada, senza deflettere, senza piangere, senza mostrare sofferenza. Arriva a commerciare con mezzi di fortuna fino a Trieste! Poi diventano armatrici, mettono su aziende fiorenti della conservazione del pescato e sono analfabete! Così a Napoli quando aprono ristoranti e alberghi, piccole scugnizze cresciute nel culto del lavoro, alla faccia di qualsiasi Gomorra e dei suoi aedi. E in Sicilia, oggi, è una donna che si oppone, da sola, alla mafia dei pascoli sui Nebrodi. Sono donne, sono mamme, quelle che fronteggiano i marines e i carabinieri, contro il Muos. Donne di cui conosco il nome ma che, scriverli quei nomi, adesso, sarebbe un esercizio di cronaca e questo mio scritto non è cronaca. E’ un orgoglioso sincero inno alle donne del Mediterraneo, alla loro forza e alla loro cultura ancestrale.
E la violenza sulle donne è un portato della cosiddetta rivoluzione industriale, post moderna, consumista, lassista, triviale, scontata. Le ere in cui la donna è stata violentata, bruciata, umiliata sono quelle buie. Quando il passaggio da un modo di intendere la società fluiva in un altro più scontato, più protervo, meno attento ai diritti del più debole.
Nel nostro meridione e in Sicilia questi passaggi hanno influito assai meno. Il potere muliebre si è sedimentato accanto alla necessità di mantenere la pace e di sopravvivere. Le figure femminili, che abbiano combattuto su un fronte o sull’altro, che abbiano poetato, scritto, operosamente lavorato, creato, governato, si stagliano accanto e al posto degli uomini.
Del resto, mentre nel resto d’ Europa, in uno dei periodi più bui del millennio passato le donne finivano al rogo indicate dalla Santa Inquisizione come tentatrici e demoni, bruciate dal potere secolare dei re e degli imperatori, nella Napoli del 1547 popolo e borghesi, straccioni e nobili, scacciarono il rappresentante dell’Imperatore fiammingo e del Papa di Roma lasciando duemila morti a difesa della libertà. E delle proprie donne, soprattutto.
La donna siciliana del primo dopoguerra è madre e moglie di banditi e carabinieri, vota col proprio dolore, con la propria scelta di campo. Il voto elettorale in fondo è una delega ad altri uomini, ma non ci si fa caso, il potere lo millanta come vetta di civiltà. Intanto, tra le pieghe dell’inferno del dopoguerra agricolo siciliano, le donne fanno la loro parte. Proteggendo, combattendo, militando. Senza attendere favori interessati e compiacenti. Sono nei campi, lottano, cadono, si spaccano le mani, pretendono rispetto.
Il voto, signori, è un orpello, nella civiltà mediterranea.
Nella civiltà mediterranea noi onoriamo le donne
Maurizio Castagna
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