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Mio fratello ha sempre freddo

Il 21 maggio, con gli amici della Fondazione Tosi e dalla Sinped (Società Italiana di Neuro-Pedagogia),

Un dipinto di Mario Stelluti
"Il Turno" Olio su tela di Mario Stelluti

abbiamo portato a termine il nuovo corso per tecnici educatori nelle attività di nuoto per persone disabili.

Nella piscina Terdoppio di Novara, gli amici che condividono la nostra attività a sostegno di uno dei settori più sensibili allo stigma o, viceversa, alla demagogia di una società assente, ci hanno visto uniti, come volontari, nella lotta per i più deboli, per quelli che, per accidente o debolezza, si trovano indietro in un mondo che sembra travolgere soprattutto gli ultimi

La lotta allo stigma diventa fondamentale, così come l’obbligo di porsi all’ascolto, dei disperati e dei dimenticati, ma anche di voci scomode o dissenzienti, essendo, il colloquio e il contraddittorio, le basi del vivere civile.

È stato naturale, perciò, a chiosa della nostra giornata, ospitare un dialogo-intervista tra la prof. Nicoletta Pavesi (ricercatore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi alla Cattolica di Milano) e Maria Francesca Tiraterra, autrice esordiente con il libro “Mio fratello ha sempre freddo” (Robin Edizioni).

Dialogo vertente sui temi proposti dal libro stesso: un testo che è una conversazione a due voci, tra un fratello ed una sorella, dentro il mondo dei “tossici”. Tossici stigmatizzati, senza possibilità di riscatto e comprensione, dal “mondo di fuori”.

“…Una lettura che lascia un profondo senso di gratitudine verso l’autrice, perché aiuta a sentirsi meno soli nel percorso dell’accettazione e della sofferenza derivante troppo spesso dalle nostre radici, dalle nostre famiglie.” per dirla con le parole della recensione della scrittrice e poetessa Paola Marconi.

È stato un incontro piacevole e interessante: la prof.ssa Pavesi è riuscita a trasformare la sua intervista in un viaggio letterario, analizzando l’impotenza, la dolcezza, l’ironia sottile e la rinascita della protagonista, raccontati in modo intimo, come in una lettera d’amore (e forse di rabbia) che ci avvicina al fine ultimo della nostra avventura umana: essere accanto a chi soffre.



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