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Lo Statuto Siciliano, millantato, misconosciuto

Aggiornamento: 28 giu 2020

Chiedere di esporre le ragioni e i torti alla base delle diverse esegesi dello Statuto Siciliano è

forse chiedere un po’ troppo in un articolo necessariamente breve.

Aula dell'ARS
Assemblea Regionale Siciliana

Un po’ di storia, prima. Lo Statuto concordato (e non concesso) tra lo Stato italiano e ancora monarchico, e i rappresentanti della Sicilia (costituzionalisti, sia unitaristi che indipendentisti) con avallo del Decreto Legge Luogotenenziale del 25 giugno 1944, in base al Decreto Legislativo luogotenenziale del 16 marzo 1946, fu approvato il 15 maggio 1946 dal Re e controfirmato da De Gasperi, Nenni, Togliatti ed altri, entrò a far parte della Magna Charta italiana il 26 febbraio 1948 ai sensi dell’articolo 116 della stessa Costituzione.

Quello che dobbiamo sottolineare che fu si approvato dai Padri Costituenti, ma fu concordato da due entità sovrane nei propri territori, in un momento assai difficile nella nostra storia politica. L’indipendentismo siciliano assommava circa 600.000 iscritti nel 1943 dopo la fine delle ostilità contro i futuri alleati. Spargendo incertezza e angoscia tra i membri dei partiti del CLN ma principalmente tra i referenti DC dell’Isola, soprattutto Bernardo Mattarella e Salvatore Aldisio. Tutti gli altri partiti assieme avevano iscritte soltanto 75.000 persone! E, proprio allora, scontri a fuoco e fatti di sangue tra indipendentisti e truppe italiane, fino alla vera e propria battaglia di San Mauro, sconvolsero la Sicilia. Fino alla decisione di pacificare gli animi con il concordato che portò al riconoscimento (riconoscimento, non concessione) dello Statuto.

Ma dopo questo necessario excursus storico, occorre sfatare le leggende che lo circondano. Anzi, che mettono sotto accusa l’intero popolo Siciliano.

Per esempio che gli italiani continentali pagano le dissolutezze dei dipendenti regionali dell’Isola. Anzi, della pletora dei dipendenti regionali dell’Isola. Non è vero. Come da Statuto i dipendenti regionali dell’Isola svolgono funzioni che in altre regioni sono definite centrali, o statali. Quindi funzioni che debbono essere supportate da una tassazione che coinvolga tutti i cittadini italiani, compresi i siciliani. E infatti anche la Sicilia contribuisce per quota parte al mantenimento dei dipendenti statali nel resto della penisola. Ma cosa accade in Sicilia? Ebbene in Sicilia, per Statuto, i dipendenti con funzioni statali li pagano solo i siciliani, onesti o disonesti che siano! Quindi cade una prima pregiudiziale (la vogliamo chiamare, più popolarmente o efficacemente, bufala?) nei confronti dei siciliani.

Ma è vero che lo Statuto sembra venga attuato quando conviene.

Infatti per Statuto sia il gettito dell’IVA che dell’IRPEF dovrebbero restare nelle casse di un “erario siciliano”, ma ciò non avviene e, come vedremo, lo Stato centrale disattendendo il dettato degli articoli 36/37 dello stesso Statuto, avoca a sé il 75% di tali quote.

Non è solo il professor Costa presidente del movimento di Siciliani Liberi ed esimio professore universitario di economia, a “far di conto”, ma anche l’Espresso che, con un articolo a firma Giuseppe Oddo, editorialista del Sole 24 Ore, riporta dati sconvolgenti.

Dal primo gennaio 2017 la Sicilia, in barba allo Statuto, regala all'Italia la cifra astronomica di 4,2 miliardi l'anno, solo di IRPEF. Oddo, rincara la dose. Tra IRPEF e IVA, trasgredendo la norma statutaria, l’Italia tutta sottrae alla Sicilia circa sette miliardi di euro l’anno. E contribuisce per il risanamento della finanza pubblica, con un contributo di 1,3 mld l’anno, secondo solo a quello della Lombardia che, ca va sans dire, è molto più ricca. Lo Stato contribuisce alla Sanità siciliana con un contributo di circa 2 mld annui e se ne riprende il triplo.

Tra l’altro, come ricorda il professor Costa, con un ultimo colpo di mano, targato Baccei, l’economista di fiducia di Renzi calato in Sicilia nella giunta Crocetta, “generosamente” l’Isola contribuisce per un ulteriore gettito di 800 mln alla finanza pubblica.

Per ora, cari amici è abbastanza per scompaginare letture sbagliate e interpretazioni fantasiose di chi, commentatori televisivi in testa, ha tutto l’interesse a far apparire la Sicilia come un’idrovora mangiasoldi.

Maurizio Castagna




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