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Le Relazioni sociali e i Giudizi sommari

Immagine del redattore: Maurizio CastagnaMaurizio Castagna

Le relazioni sociali sono determinate e fissate nei rapporti di Forza tra gli individui e tra le comunità

La prevalenza della Forza sul Bene, costituisce la cornice della struttura portante della società odierna. Quella che impedisce, di là dalle caratteristiche di ognuno di noi, dalla cultura, dalle conoscenze tecniche, di trovare o scoprire ciò che più evidentemente riveli il “sacro” in una Persona.

La Forza è veicolata dal Potere, utilizzata dal Potere, gestita su delega del Potere. In ogni ambito.


E se qualcuno, al contrario, riesce a interagire con quanto di sacralizzato si trova nell’altrui pensiero, nell’altrui disposizione d’animo, e se, pur potendo prevalere grazie alla Forza a lui delegata, vi rinunci accettando contraddittorio, disobbedienza e disordine, prima di riuscire a prevalere con il senno e la coscienza, o rinunciando ad imporre la propria parziale verità, costui è toccato dalla Grazia.


Pochissimi tra noi vi riescono, credo nessuno tra coloro che comandano o che impongono che la vita dei propri simili, a loro in un modo o nell’altro sottoposti, scorra in un senso o nell’altro. Imporsi con la Forza, giudicare senza rispetto per la Persona, specialmente quando questa Forza è delegata da un’autorità superiore, è proprio dei vili.

Il Sacro è intangibile e può essere cancellata, questa Luce che attende di illuminare la nostra esistenza, solo da un atto di volontà dell’individuo stesso, che nega e rifiuta ogni riflesso e possibilità di Bene, Bellezza e Giustizia nella propria vita, affidandola all’esercizio della Forza.


Se la forza è sovrana, la giustizia è irreale (S. Weil-La prima radice)

Cosa accade oggi?

Che uno stuolo d’uomini, delegati da un sistema che afferma sé stesso come democratico, si affanni a imporre con la Forza, senza dibattito, una direzione alla vita sociale dei propri simili. E che altri individui, supponendo di essere a questa minoranza assimilati, per averne accettato le decisioni, credano di poter umiliare chi, a quelle decisioni, si è opposto.

Non è questione di scienza, seppur la scienza abbia le sue colpe. Non è questione di schieramenti ideologici o territoriali, seppur una “politica di pensiero” faccia capolino nei cuori e nelle menti di tutti, oppositori e plauditori.

No, è, da parte di coloro che credono di aderire alle decisioni della catena di comando, di poter avere gli stessi diritti e gli stessi poteri di chi esercita il dominio, una

"solida illusione di unità interiore…una tentazione così forte per tante anime smarrite” (S. Weil - La prima radice)

Se i grandi hanno costantemente affermato esista una dimensione impersonale -oltre quello che ogni persona si trovi ad essere ora ed adesso- nella quale si sublima l’inveramento della Grazia in ogni Individuo, nello stesso modo, ponendo limiti alle decisioni dei giudici e dei censori, la ribellione all’autorità ha nei secoli confermato il diritto alla disobbedienza.

Cristo consentiva di dare a Cesare, ma in effetti disobbediva, a Cesare e al Sinedrio.

Quando questa pare opportuna, la disobbedienza, più ancora la ribellione, proprio per quel senso di giustizia e di bene che è avverso alla Forza, quindi al Potere che quella forza esprime, è giusto proclamare la propria unicità, il diritto ad opporsi.

Pagando di persona, proprio in nome di quell’impersonale che fa di noi esseri unici.

Non si creda che sia un invito all’anarchia.

È la volontà dell’uomo libero di non restare al posto dove il destino e l’autorità l’hanno capricciosamente collocato (come affermano von Kleist e il suo meraviglioso, umanissimo principe, come affermavano i Greci col mito di Prometeo, come ammonisce Holderlin definendo il Poeta, l’essere libero per eccellenza, come colui che “sta nudo davanti alle tempeste di Dio, per offrire il fulmine al popolo in versione di canto”)


Che l’uomo abbia paura della Morte è un fatto, che questo fatto sia stato vigliaccamente utilizzato come viatico per l’obbedienza cieca, per la negazione del contraddittorio o, addirittura, dell’opposizione di pensiero, è miserabile.

Homburg rivendica il diritto alla libera scelta, di vivere prima, di morire dopo.

E di come morire.

L’Elettore ne resta colpito e vuole lasciarlo vivere, non per calcolo politico, come parrebbe, ma per aver avuto la capacità di intravedere un guizzo di sacralità splendere nel cuore di Homburg.


Non credo che i nostri decisori pubblici abbiano la stessa saggezza spirituale, non credo proprio.

La realtà della scienza (del metodo scientifico) conferisce una cattiva coscienza ai cristiani, e ai credenti in genere (S. Weil-La prima radice);

pertanto, specialmente i cristiani, credono d’essere in diritto di giudicare.

Non perché hanno sofferto e sono morti su una Croce, ma perché vanno a Messa a mezzanotte a Natale.

Se vado a Messa, sono buono e giusto, il prete mi assolve, applico il metodo scientifico: è necessario, per essere buoni cristiani, andare a Messa, a mezzanotte, quando nasce il Bambinello:

la necessità, però, non configura il bene,

ammonisce la Weil, ma loro non lo sanno e applicano alla religione il metodo cartesiano: penso dunque sono, mi comunico, quindi giudico.

Posso discriminare, criticare, volgarizzare un comportamento che m’appare riprovevole.

Codesti cristiani sopravviveranno, e felici.

Rivendicare libertà non è la loro massima aspirazione, piuttosto censurare l’altrui pensiero, sulla scorta della Forza delegata loro dal Potere, conferisce un senso di onnipotenza mai provato prima, più dell’appartenere a Cristo e al suo Golgota.


Agli oppositori, per reclamare il diritto alla libertà, non resta che la Morte, come sulla Croce, come nel dramma del Principe di Homburg, perchè resta, la Morte, l’unico modo per evitare di sottostare all’Autorità (in effetti, nel dramma di von Kleist, come in tanti avvenimenti storici o che riguardano il nostro quotidiano, l’Autorità, magnanimamente lascia vivere, e tu ti chiedi, cosa ti toglie, il Potere se, esercitando la Forza che a quella Autorità compete e pur mostrandosi severo, ti risparmia il carcere e la fucilazione? A pensare bene, la Libertà, quella vera, legata al Bene, alla Bellezza, alla Giustizia, in fondo al Sacro e all’inviolabile che rende unico ognuno di noi)


Credo sia suggestivo rimandare, per chiarire il senso di quel che penso, all’esperimento di Zimbardo, o meglio, alle conclusioni degli psicologi sociali che lessero quel che accadde a Stanford come una prova scientifica manipolata.

E’ vero che i secondini impersonati dagli studenti non furono “volontariamente” violenti con gli studenti che recitavano da carcerati, ma furono indotti a farlo, per ragioni politiche più che professionali, dal professor Zimbardo.

Ma resta il fatto che i censori dell’illustre psicologo affermino con sicurezza, che

“per la creazione di una tirannia è necessario si formi autonomamente un gruppo in cui c’è una leadership ben definita, e, secondariamente, che il gruppo definisca un progetto autoritario con cui pensa di risolvere problemi concreti”- (Haslam e Reitcher - British Journal of Social Psycology-2002) :

proprio come accadde a Stanford, solo che la leadership era rappresentata da Zimbardo e dai suoi collaboratori e che il gruppo dirigente, l’esperimento, era certo di poter risolvere, i problemi concreti delle carceri americane degli anni settanta, con una Menzogna elevata a prova scientifica.

I contraddittori di Zimbardo, in tal modo, pare gli diano ragione. Nessuno degli studenti rifiutò la manipolazione dello psicologo, nessuno rifiutò un certo comportamento indotto dall’Autorità, sebbene lontano dalle proprie abitudini e convinzioni.


Arrivare a Gustave le Bon per definire cosa siano le masse non è materia da trattare in questa breve riflessione, anche se mi pare suggestiva la sua meditazione:

“Per molti, essere liberi, è la facoltà di scegliere le proprie schiavitù”

Cosa ho voluto suggerire con questo articolo?

Embè, leggete tra le righe, amici miei, intelligenti pauca e a voi, brillanti e sagaci, basta poco per comprendere

MAURIZIO CASTAGNA

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