Certo, è un sogno, trattatelo come tale, per adesso.
Coloro che contestano i fautori delle Comunità, tra loro federate in luogo di Stati centralisti, usano, per colpire, uno stigma: “le piccole patrie”
E mai stigma fu così profondamente errato.
Perché nessuno ha mai inteso creare dei nuovi confini, delle nuove frontiere, quelle tracciate sulle mappe geografiche, talvolta ad uso e consumo delle grandi potenze o dei vincitori di guerre sanguinose
Le Comunità non progettano confini, vivono in Territori che saldano cultura, storia e memoria, tracciati invisibili e pur tuttavia osmotici. Perché, chi abbia desiderio o necessità di condividere, in quei territori, il destino di quella Comunità, sia comunque accolto, da qualunque parte del mondo provenga.
E sono d’accordo con Garcia Lorca, “sento più vicino il cinese buono che lo spagnolo cattivo, benché io sia integralmente spagnolo”
Ecco, essere integralmente siciliani o napoletani o lombardi o lorenesi, o catalani, o bretoni, o galiziani, non vuol dire tracciare segni sulle mappe, srotolare filo spinato, mettere guardie alla frontiera.
Eppure, coloro che condividono questo mio pensiero, troppo spesso cadono nella stessa rete dei nazionalisti. Quella dell’ideologia o delle mode ideologiche imperanti, tracciano un al di qua e un al di là.
Comunisti e fascisti, omosessuali e omofobi, misantropi e misogini, colonizzati del Nord e colonizzati del Sud, a favore dei bianchi o dei neri, per questo partito o per quel partito. Tracce sul cuore ben più divisive, e stupidamente divisive, di quelle tra i monti, lungo i fiumi, nelle valli.
Steccati che lasciano spazio alla Statolatria, a coloro che hanno interesse a distruggere il tessuto sociale ed umano della Comunità in nome del prestigio delle Istituzioni, della "legalità" vera o presunta, a garanzia dell'arricchimento dei pochi e dell'immiserimento delle moltitudini".
L’ideologia può suggerire la struttura o lo sviluppo della Comunità in un senso piuttosto che in un altro, come l’atteggiamento di nuovi e dinamici imprenditori può aprire nuove rotte di commercio e ipotesi di produzione con innovazioni di processo e di prodotto. Ma non possono organizzare, queste espressioni del pensiero e dell’azione, la vita stessa della Comunità, assolutamente non possono esserne il presupposto.
Anche se, è ovvio, le Comunità vanno immaginate in opposizione al Sistema imperante, quindi sociali nella struttura istituzionale, solidali nella concezione ideale, e portate a considerare l’iniziativa privata come corollario del bene pubblico e ad esso vincolata.
Queste sono e debbono essere le Comunità di Territorio e non Stati centralisti in miniatura.
Il loro destino è federale o confederale, il sogno di Aurel Popovici agli albori del secolo ventesimo e di Diego Loy dopo la seconda guerra mondiale, con la garanzia costituzionale d'una potestà d'imperio originaria intangibile per ogni Territorio federato, non con la concessione, da parte della “dittatura centralista” e per legge, di una banale, inutile autonomia amministrativa, utile solo ad ingrassare le vacche dello Stato centrale, nell’illusoria speranza di “far da sé”.
Bisogna invece immaginare un progetto che nasca sociale, con l’ipotesi bellica volta solo alla difesa ad oltranza dei diritti dei propri cittadini e nel rispetto di ogni altra Comunità.
Le Costituzioni, o gli Statuti, devono essere agili e determinanti, con presupposti ideali, filosofici e culturali tali da offrire ai cittadini un esemplare percorso di vita.
Il successo personale non venga considerato come lo scopo della propria esistenza, ma come dono da offrire alla Comunità dei cittadini, per permettere a tutti una migliore qualità della vita.
Le Comunità hanno il diritto dovere di sradicare la criminalità dai cuori malvagi e dalla società e di combatterla in ogni modo possibile, nessuno escluso.
Nello stesso tempo, ad ogni cittadino, vanno offerte le medesime possibilità di inserimento sociale e culturale, lasciando ai singoli la possibilità di migliorare la propria condizione sociale. Nessuno, nemmeno il migliore, il più produttivo o il più attivo, merita di guadagnare più di sei volte di quanto riesca a percepire l’ultimo lavoratore della Comunità, fatta eccezione per gli investitori che rischiano il proprio capitale privato e i propri beni personali.
Ma le aziende devono mettere in programma la condivisione di parte degli utili di impresa con ogni lavoratore, fino alla partecipazione dei più efficienti tra questi ultimi alle decisioni aziendali, fino alla socializzazione del lavoro.
La Comunità deve saper offrire quanto sia meglio in termini di Sanità e Istruzione, in modo assolutamente gratuito.
La speculazione finanziaria sia aborrita e combattuta senza esitazione, con leggi draconiane. Sia invece accolta la Finanza capace di promuovere aziende ed intelligenze.
Le banche sappiano garantire e gestire il credito in modo oculato ed onesto, siano il volano della ripresa produttiva e dello sviluppo dei territori. Incentivino i migliori offrendo occasioni di investimento a tassi trascurabili seppur remunerativi per l'istituto, con una burocrazia spedita ma intransigente.
Ogni territorio deve poter contare su una simile istituzione finanziaria.
Nessuno può trarre profitto dall’attività politica, al cittadino, impegnato nell’amministrazione della cosa pubblica, sia garantito, per il tempo necessario, lo stesso stipendio che percepiva da laico.
Ogni religione va accettata e rispettata. E così, ogni atteggiamento improntato allo scetticismo in materia di fede.
Ed ogni espressione del pensiero umano sia accolta, basta non sia offensiva nei confronti di ogni altro cittadino, non sia supponente, non divenga volgare e prepotente.
Opporremo, al dominio dei diritti, la certezza degli obblighi reciproci.
Perché quelli restano sulla carta, o sono a vantaggio dei potenti e degli oppressori. Questi impegnano ogni cittadino al servizio dell’altro, di qualunque condizione sia.
Questa è la Comunità che sogno,
e proprio per questo essa deve essere espressione di un Territorio, nemmeno tanto grande, ed essere capace di individuare al suo interno le forze migliori. Disponibili alla collaborazione interna ed internazionale. Pronte ad essere protagoniste, in ogni dove, nel nostro pianeta.
Una politica estera immaginata, realizzata e condivisa per il bene comune e, possibilmente, comunicata alle Comunità sorelle, senza che nessuno ne abbia a patire conseguenze eventualmente negative.
In questo “universalismo transnazionale” regni la pace, perché nessuno Stato o potenza imperiale o piccola Comunità ha il diritto di invadere e controllare le Nazioni e altri popoli: questo è il vero crimine contro l’Umanità, questo è quanto, purtroppo, ci insegna la Storia di questi ultimi anni.
Il sistema liberista ha iniettato odio e livore, violenza e prepotenza in oltre due secoli di sanguinosi combattimenti; ha inculcato l’idea che il potere e il successo e la ricchezza formano l’uomo, ne determinano il destino, senza nessuna vergogna, senza nessuna resipiscenza.
E il neo giacobinismo, la pletora di clientes adoratori del potere, al servizio delle tesi più elitarie, contribuisce a umiliare ogni opinione avversa, a cancellare ogni idea diversa.
“La storia non è altro che una compilazione delle deposizioni fatte dagli assassini circa le loro vittime e se stessi.”
scriveva la Weil, e ancora che:
“Il male è l'illimitato, ma non è l'infinito.”
Pertanto dobbiamo cancellare quelle compilazioni, e definire il significato di infinito, rendendo il male illimitato, finito.
E per questo, noi cercheremo di lottare per una sola meta e, avendo il Sistema mondialista contro, con un solo precetto, il “non praevalebunt”, avviandoci verso l’orizzonte che scorgiamo in lontananza, uniti, fratelli e sorelle.
Maurizio Castagna
Caro Maurizio mi permetto un'osservazione: quando scrivi "Nessuno, nemmeno il migliore, il più produttivo o il più attivo, merita di guadagnare più di sei volte di quanto riesca a percepire l’ultimo lavoratore della Comunità, fatta eccezione per gli investitori che rischiano il proprio capitale privato e i propri beni personali. " lasci, a mio parere, una porta aperta al rientro del liberismo, sin troppo avvezzo, come tu stessi dici, ad infilarsi in ogni spiraglio della storia. Sarebbe, a mio parere, opportuno quantificare subito quale debba essere la quota di rientro spettante agli investitori, che non quantificarla darebbe adito ai lupi travestiti da agnelli di insinuare il tarlo del capitalismo in una nuova società, ancora non completamente formata.