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La disperazione sociale e le lettere di incarico

Aggiornamento: 27 giu 2020


Come può essere l’incipit di un articolo che, in tempi di Corona Virus, sposti l’attenzione verso le criticità sociali, ed umanissime, che la chiusura degli impianti sportivi ha comportato?


Come se, mi pare già di udire coloro che della “responsabilità” e della adesione conforme ai decreti ministeriali e dell’istituto Superiore di Sanità hanno fatto la chiave di volta della loro influenza sociale, io volessi adesso, piccolo untore da strapazzo, spostare per capriccio l’interesse e lo sguardo alla disperazione sociale che di quelle imposizioni, per carità giuste sebbene poco lineari, è figlia.

Ho vissuto per anni con le cosiddette lettere di incarico. Per qualche anno con una pensione di malattia (245 euro mensili), poi con il lavoro da docente a contratto dell’Università di Messina (per 7 anni).

Ma le lettere di incarico mi sono state compagne (poco) affettuose per lungo tempo. So cosa significhi vivere con angoscia il momento presente e non aspirare ad altro che il lavoro continui, che l’anno duri 10 o 11 mesi e non uno o due in più, perché in quella vacatio dagli impegni del mestiere, avresti dovuto misurare i passi, non più lunghi della gamba, attento a non sforare nella spesa quotidiana.

In sintesi, perché l’articolo non permette adagiarsi sui ricordi, cos’è la “lettera di incarico”?

E’ la geniale soluzione, un machiavellismo di buona fattura italiana, che ha permesso allo sport, specialmente allo sport sociale, quello davvero per tutti, allo sport per l’infanzia, alle promozioni sportive dell’attività motoria, di sopravvivere per lunghi anni. Dalla creazione prima del CONI, poi degli Enti di Promozione Sportiva.

Può essere concessa soltanto agli istruttori di base che siano in possesso di diploma che certifichi la partecipazione ai corsi delle federazioni sportive nazionali (FSN) e degli stessi EPS, secondo il Sistema Nazionale delle qualifiche degli operatori sportivi (SNaQ). Quindi ha una sua precisa collocazione nell’ambito dei contratti sportivi, e non dipende dalla professionalità o meno del collaboratore ma da norme specifiche come la 342/2000 art.37 e la 289/2002 art. 90 e dalla lettera di chiarimento dell’ispettorato del lavoro del primo dicembre 2016. Anzi, il tecnico professionista o il laureato in scienze motorie in possesso unicamente del titolo accademico, non possono venir assunti con la lettera di incarico ma con CCNL dello sport o a Partita IVA

La lettera di incarico permette che il collaboratore e lo stesso datore di lavoro (la società sportiva dilettantistica) possano esser esentati dai contributi di legge, quelli fiscali in particolare, fino a un massimo di contribuzione netta di 10.000 euro annui.

Non serve entrare ancora di più nel merito. Serve porre attenzione al disastro sociale che sta montando oggi.

Ed oggi, io finalmente affrancato dalla lettera di incarico, in qualche modo un privilegiato nel mondo dello sport, mi sento di dover levare un monito a chi sta comunicando dagli alti scranni di questo mio mondo, con proclami solenni ed inviti alla responsabilità individuale, dimenticando, colpevolmente, le centinaia di migliaia di disperati che oggi, unici in Italia, non possono aspirare ad alcun sostegno economico, a nessun ammortizzatore sociale. Sono dei paria del lavoro, gli istruttori di base con lettera di incarico.

Infatti, in un sistema di piena occupazione, nel quale la lettera di incarico avrebbe potuto rappresentare il primo passo nel mondo del lavoro sportivo per il giovanissimo tecnico, o la necessaria integrazione al primo lavoro per tutti coloro che avessero deciso di impegnare il proprio tempo libero nel mondo delle attività motorie o, addirittura, la difesa opportuna per tutelare i diritti dei laureati in SM o dei tecnici professionisti, per i quali sarebbe stata imposta per legge l’assunzione con CCNL, in questi anni di desertificazione del lavoro è stata vista come la soluzione (disperata) alla disoccupazione.

Certo, bello non versare i contributi fino a 10000 euro, ti entrano tutti puliti in tasca. Ma, anche non volendo considerare che 10000 euro all’anno non ti risolvono la vita, specialmente se hai una famiglia; e che non hai diritto a ferie pagate, indennità di malattia, indennità per maternità e per il relativo congedo, tredicesima (ma anche decima undicesima e dodicesima, talvolta) il fatto che l’Agenzia delle Entrate abbia esentato queste persone e i loro datori di lavoro dal versamento dei contributi, recide di netto, senza possibilità di intesa, la possibilità che l’INPS possa permetterne l’accesso agli ammortizzatori sociali. Niente contributi, niente pensione, niente TFR, niente soluzioni alternative nei periodi di crisi. E, per chi vive unicamente di tali contratti, è l’inizio della fine, in simili frangenti eccezionali come quelli che stiamo vivendo.

Le lettere di incarico hanno certamente permesso alle Aziende che vivono di sport di andare avanti e costruire una formidabile macchina per la salute pubblica (lo sport agonistico ne è solo un’appendice, non so nemmeno quanto necessaria) ma in simili frangenti le Aziende, i presidenti delle piccole ASD come quelli delle società sportive di capitale, hanno le mani legate. Non possono agire in altro modo che chiudere gli impianti e lasciare a casa migliaia di lavoratori (con le loro famiglie)

Mi sarei aspettato una voce forte e chiara dal massimo rappresentante dello Sport italiano, non solo l’invito ad essere responsabili e a chiudersi in casa

Mi sarei atteso l’intervento del CONI e dei presidenti delle FSN e degli EPS e, soprattutto, del ministro dello Sport (più preoccupato di interrompere partite di calcio con le squadre già in campo) per cominciare ad arginare questa deriva sociale che anticipa le angosce in cui precipiteranno milioni di persone (sono circa 700.000 con famiglie, gli operatori tecnici sportivi inseriti negli albi tecnici del registro CONI 2.0 – 384 tabelle per 102 specialità)

Una voce che raggiungesse il governo, suggerendo soluzioni ponte come, su segnalazione delle singole società sportive, particolari forme di assistenza ai lavoratori oramai senza stipendio. Il differimento dei mutui, delle bollette da pagare, dell’assicurazione dell’auto, scrivo così, quel che mi viene in mente, nella percezione del ricordo dei momenti bui, nei quali vivevo un tempo, nel quale, comunque e per fortuna, non c’era ancora il COVID-19.

“Stare a casa sul divano”, molti scrivono: e che problema c’è? Perché i problemi sono quelli che viviamo noi con percezione egotista, stimando prioritari solo i nostri diritti, mai quelli di chi rimane dietro nella scala sociale; giudicando col metro delle nostre esperienze e delle nostre necessità; impartendo lezioni di civiltà senza nemmeno sapere che la civiltà è nulla senza la condivisione dei valori universali e, soprattutto, del dolore altrui.

Pertanto si, restiamo a casa, ma vivaddio continuando a urlare, seppure nel deserto, che ci sia per tutti salute ma anche giustizia sociale

MAURIZIO CASTAGNA

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