Perché cercare la verità o, almeno, quel che possa parer vero, tra le pieghe della storia o,
almeno, dei fatti accaduti?
Riposare invece senza porre domande, senza ascoltare le inquietudini che ci spingono a dissentire e a voler dibattere, non è forse assai meglio? Accontentarsi delle decisioni altrui, delle altrui spiegazioni, delle norme imposte, dei discorsi imperiosi, delle decisioni assembleari, non è forse più coerente con la necessità di vivere una vita che desideriamo semplice e che, al contrario, rischia di diventare complessa e, in fondo, pericolosa?
Non è forse la presunzione, l’egoismo, forse l’immaturità che ci coinvolge in diatribe su ogni argomento conosciuto e dibattuto, oggi nell’era dei social e delle comunicazioni in tempo reale?
Non è forse giusto, si direbbe quasi necessario escludere dai pubblici e privati dibattiti coloro che, di quel determinato argomento, poco o nulla sanno, tranne ciò che, per caso o per scelta distratta di questo o quel canale televisivo, hanno ascoltato superficialmente, ovvero le note principali, i principali punti di domanda? Non è forse giusto lasciare agli esperti le esperienze nelle quali essi eccellono? Frugare nei meandri delle nuove acquisizioni sapienziali?
Non è forse giusto lasciare solo alla politica, dunque al dibattito interno alla comunità, le linee guida per le scelte esistenziali che a quella paiono più opportune, al di fuori di competenze e certezze, e in nome del contractus socialis? (Benché quella “politica”, cioè l’interessarsi al bene comune, oggi più che ieri, pare non possa più incidere per quanto le debba competere sulle scelte globali che coinvolgono popoli e territori).
E se invece l’ “interessarsi”, il “partecipare”, il “confrontarsi” fosse legittimo e non necessariamente un portato della nostra boria di incompetenti ed esclusi, del nostro essere “plebe”, ma soltanto della nostra inesauribile curiosità? Del resto, quella che ci ha fatto scendere dai nostri rifugi sugli alberi e che, dalle endogamiche tribù ancestrali ci ha condotto alla scoperta del mondo e alla condivisione delle conoscenze?
Perché è giusto, oggi più che ieri, partecipare da neofiti ai dibattiti e, da esperti, accettare critiche e opinioni, e fondare una nuova “assemblea” simile all’ ἀγορά delle Città Stato greche? Un’agorà solo più dilatata, meno normata.
E’ giusto o perlomeno corretto perché questo è il mondo della manipolazione.
Perché tra mille teorie, vere, meno vere, verosimili o menzognere, è giusto che, come in un agone sportivo, si partecipi alle dispute, si pongano domande, si propongano nuove riflessioni, ci si comporti come quei muratori che portano la carriola con i mattoni, quegli altri che preparano la calce, altri ancora che costruiscono impalcature, infine come i geometri, gli architetti e gli ingegneri, tutti protesi verso la realizzazione di uno scopo, grazie alle conoscenze condivise, nessuna più importante dell’altra.
Questo non può avvenire se ognuna delle parti in causa ha un interesse, più o meno legittimo, da difendere. E, per logica, essendo l’interesse più o meno conclamato, molto spesso nascosto o abilmente mascherato, è opportuno che ognuno svolga la sua parte nel dibattito pubblico. Che chi ignora sia ascoltato, chi sa ascolti. Che coloro che decidono della disputa, delle ragioni e dei torti, assumano ragioni dirimenti per esprimere il giudizio.
Altrimenti dalla giungla e dalla babele di voci, si leverà quella più possente, che nel nostro mondo tecnologico è quella che dispone di armi, ricchezze in beni mobili ed immobili ed è padrona della comunicazione. Quella che traveste il proprio modo di imporre la realtà, per carità molto spesso verosimile o veritiera, non essendo la verità che un portato di fede, attraverso un abile travisamento dei fatti che accadono. E che, pertanto, rende necessario il “dubbio”.
Quanto valore avrà il nostro voler “dubitare”? Poco, nulla forse. Come quegli amanuensi tesi a riportare le note degli antichi saggi, ma molto spesso anche a scrivere note e noticine a piè di pagina, o a redigere nuovi manuali partendo dalle antiche fonti, nemmen certi che fossero letti, così noi dovremmo procedere. Con la cura degli amanuensi e la pazienza dei vinti.
Difficile, in un mondo che, preordinato al consumo, ti chiede sempre “a che pro”? Se do tanto, quanto ne ricavo? Nulla, forse nulla, o forse poco, per quel che si è dato. Ma è un agire e un pensare e un dubitare che scava in noi il piacere di appartenere alla specie umana, quella che con Prometeo ha acceso il fuoco. Pazienza se il nostro sarà un flatus vocis, pazienza se le nostre parole si disperderanno nel deserto o confonderanno tra mille altre altrettanto sincere, giuste o sbagliate che siano.
E’ appannaggio di pochi, poi, fortunati o disgraziati che siano, individui eletti dalla divinità o dannati dal destino, il dover proseguire oltre il sommesso dire, quando il gesto solo può rendere chiaro il messaggio.
MAURIZIO CASTAGNA
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