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Il Corpo Sociale

Aggiornamento: 27 giu 2020


Questa riflessione nasce in me da letture spesso disordinate e, ovviamente, dalla volontà di

capire. Posso solo scusarmi se, con presunzione, cerco di interpretare temi che non

appartengono alla mia esperienza culturale, ma che hanno informato, con altri, la mia vita e il mio pensiero politico. La circostanza che sia stata redatta in tempo di Avvento, e conclusa nel periodo che festeggia la Presentazione del Signore, spero sia viatico per un cristiano perdono.

Mi hanno incuriosito le polemiche tra un partito che si connota a destra nel nostro variegato mondo politico, quello della LEGA, e un movimento appena nato che pone se stesso a sinistra, quello delle SARDINE. Per conto mio, né l’uno né l’altro sono ideologicamente nel campo ove si pongono, ma tale riflessione non è oggetto di questo articoletto da blog.

La polemica nasce dal pregiudizio che tutte le idee e le prese di posizione politica che non discendano dal Princeps, ovvero dai decreti, dai Trattati redatti e in definitiva dalle leggi e dalla Costituzione, siano un portato della reazione populista. O, che dir si voglia, sovranista.

Ebbene, meglio far chiarezza. Oggi non c’è una διάστασις tra le Istituzioni, il corpo di leggi che regola l’organismo sociale e la società intesa come rappresentativa di tutte le componenti della Comunità.

Questa immaginifica rappresentazione di Leggi super partes e popolo senza cultura e diritti, non si trova in nessuno dei grandi pensatori che hanno tratteggiato la figura dell’uomo politico, in definitiva di colui che governa, dal Princeps al Parlamento sovrano.

Il concetto di sovranità è attribuito al popolo, in Costituzione, e ad esso non può venir, seppure nominalmente, sottratto. Questo diritto del popolo sovrano al controllo del Princeps, non dovrebbe mai venir meno o essere disatteso o abilmente manipolato, se non con artifici retorici o con violente contrapposizioni come avvenne in determinati periodi storici.

Aristotele esaltava il concetto di Comunità, propedeutico a quello del “bene comune”, raggiungibile solo se tutti si adeguano nell’ accettare le norme imposte da Istituzioni riconosciute, grazie al fatto che l’uomo è un “politikòn zôon”, un animale politico

Non fa che porre le basi del principio del “corpo sociale” indistinto, nel quale tutti possono, attraverso il logos, il contraddittorio, interessarsi alla politica. In contrasto con i sofisti, per i quali il corpus legislativo limita la naturale libertà dell’uomo.

Già nel 509 a.c. l’istituto della provocatio ad populum aveva consentito al cittadino, dotato di questo privilegio, di ricorrere ai tribunali del popolo, sottraendosi al potere assoluto del Magistrato. La lex Valeria sancì il diritto e il beneficio di appellarsi alle assemblee popolari per tutti coloro che fossero stati insigniti del titolo di cittadino romano e si sentissero vessati dal giudice di merito. Il concetto di popolo, come entità giuridicamente astratta, non aveva alcun valore e concretezza se non come somma di quegli individui, appunto i “cittadini romani”. Sarebbe stato paradossale che, a quel tempo, qualcuno avesse definito, la “provocatio ad populum” come una legge (e un principio) “populista”.

Papiniano, più in là nel tempo, nel 200 dopo Cristo, dichiara che lo Ius Civile romano è:

«il diritto che promana dalle leggi, dai plebisciti, dai senatoconsulti, dai decreti degli imperatori e dai responsi dei giurisperiti.»

In ciò ribadendo la necessaria unità di intenti, che debba trovarsi tra corpo sociale e istituzioni nel regolare la vita pubblica. In mancanza di questa premessa, è inevitabile si verifichi uno scollamento tra la natura del Princeps e il concetto di popolo.

Macchiavelli suggerisce, nel suo “De principatibus”, che la Forza sia la qualità che s’addica al Potere, essendo l’amore un collante assai scadente per sedurre l’animo ingrato degli uomini. Non solo, ma invita l’Uomo Politico (colui che governa) a non sottostare alle leggi, semmai di precorrerle secondo il senso dello stato e il benessere sociale che, ovviamente, il Popolo non può o sa perseguire. Per il pensatore fiorentino si fa netta la divaricazione, culturale, tra Istituzione (Princeps, ovvero forma di governo) e Società (popolo?)

Hobbes, nella prima metà del 1600, avverte che, la percezione del sovrano come conquistatore, può provocare l’insurrezione di coloro che ne subiscono il dominio. Siamo ancora al tempo delle invasioni e delle conquiste territoriali, dell’archeo-colonialismo europeo, e Hobbes ricorda quanto fosse distante la figura del Principe dalle aspettative e dal sentire comune del Popolo. In Inghilterra, infatti, dalla battaglia di Hastings fino ad Enrico II, il sovrano comandava in virtù del “Diritto di Conquista”, in nome dell’archetipo normanno, e con decreti scritti in francese. Tale disparità di sentimenti, tale forma, giuridicamente sancita, di dominazione, provocò tumulti sanguinosi, sfociando in vere e proprie guerre.

Pertanto il Potere non deve venire inteso, o percepito, come un diritto di conquista (si inveri con le armi o, come avviene ai nostri tempi, con abile dissimulazione mediatica, con la Finanza e le politiche sovranazionali; la negazione del confronto dialettico con l’associazionismo diffuso, per fini diversi da quelli avvertiti come essenziali dal corpo sociale, si tramuta in atti di opposizione politica. La gestione dei Trattati- sulla quale dibattono poco dialetticamente le parti in causa oggetto della mia attenzione- che regolano la vita dei cittadini degli Stati nazionali che compongono l’Europa, non deve essere sottratta al parlamento europeo, né alla discussione di questi atti in sede nazionale.

I duri e ripetuti contrasti contro l’esercizio del Potere, inteso quale tradimento del Corpo Sociale o scollamento dalle sue esigenze, in favore di altri scopi non chiaramente intesi, per fini abilmente velati o, altrimenti, poco comprensibili, sono forieri di acerrima contrapposizione politica. Non solo, ma nessuno dovrebbe poter essere identificato come “legibus solutus”, come accade, ad esempio oggi, per i commissari che procedono alla stesura delle norme del MES. Nell’immediata percezione popolare l’avallo di questa possibilità può venir intuita come cosa ingiusta, colta come un vulnus dell’assunto “la legge è uguale per tutti”.

Arrivati a questo punto, non credo che, chi si opponga al Principe, possa essere tacciato, per ciò, di sovranismo o populismo. Innanzitutto perché la sovranità (il termine sovranismo è oggettivamente e giuridicamente insensato) è qualità intrinseca al Corpo Sociale come lo si vuole definire: degli istituti giuridico-politici, il potere legislativo, quello esecutivo e la funzione giurisdizionale, e delle componenti attive della società: imprenditori, professionisti, lavoratori - operai, contadini ed impiegati - docenti e studenti, militari. Pertanto definire sovranisti coloro che si oppongono alle decisioni del Princeps è sostanzialmente errato. E definire populista un rappresentante del popolo (ma non siamo tutti rappresentanti di questa astrazione filosofica che si chiama popolo?) è, assieme, una iterazione ed una sineddoche.

Piuttosto dovrebbe impensierirci il fatto che, per quasi tutti i pensatori neo liberisti, Locke, Hobbes, Montesquieu, von Hayek, Friedman, Einaudi, Popper ed altri, la legge in se stessa diventa “giusta” per il solo fatto di essere stata discussa, votata e promulgata con i decreti attuativi che la impongono all’intero corpo sociale. Insomma una legge può essere buona o cattiva ma mai ingiusta. E questo è un pericolo per le libertà civili e per il concetto di giustizia come percepito dal cittadino comune ma che, per convenzione, il corpo sociale è disposto ad accettare. Così come le garanzie costituzionali possono essere sospese se il Potere intraveda un pericolo che tenti di disgregare il Corpo Sociale. Tale possibilità affonda le radici nell’istituto romano del “Senatus consultum ultimum”, quando il Senato, vero “sovrano” a dispetto del popolo, indicava un hostis tra i cittadini, da combattere fino alla morte. Una vera e propria sospensione del Diritto. Anche i regimi liberali possono non garantire in modo assoluto e continuativo le libertà civili. E’accaduto nell’Irlanda del Nord quando, durante i “Troubles” (i tumulti, come venivano indicati nel diritto romano) furono sospese le garanzie costituzionali per i cittadini delle sei contee dell’Ulster; e per i rappresentanti catalani, con giudizi inappellabili che li hanno condotti in prigione dopo l’ultimo referendum identitario.

In definitiva la presa di posizione del popolo delle SARDINE è sostanzialmente errata nei presupposti, mentre l’atteggiamento della LEGA e dei movimenti politici che l’appoggiano è indubbiamente privo di riferimenti culturali che possano individuare le ragioni del cittadino come soggetto portatore di valori, ed è sostenuto da una sociologia dai contenuti sciovinisti e di portata razzista.

Entrambe le posizioni, paradossalmente, appoggiano i processi politici che si inverano oggi in una Unione europea troppo distante dagli ideali di Rossi e Spinelli, quelli espressi nel Manifesto di Ventotene, dai contenuti così avversi alla previsione di Kalergi che, nel suo Pan-Europa, vagheggiava il trionfo dei Tecnocrati. Un’unione europea burocratizzata, distante dall’ideale comunitario e dall’affermazione della civiltà dei Territori, veri produttori di risorse umane e civili, tesi al progresso culturale, all’ammodernamento dei processi industriali, alla cultura scientifica, all’innovazione tecnologica, al rispetto delle diverse culture. Unione, al contrario, sostanzialmente eterodiretta da interessi e istanze che fanno il gioco dei pochi a dispetto delle esigenze degli ultimi.

Pertanto non ci resterebbe che recitare, con Strindberg, l’ironica disperata ode che figura la fine del sentimento come oscuro viatico per l’affermazione di una società egoista e materialista, tecnocratica e malefica (la nostra, l’attuale?) nella quale il Princeps sia un mostro che, con un ghigno sarcastico, assicuri pace e prosperità mentre divora i suoi figli:

“Verrà, comunque, forse un giorno in cui saremo tanto avanzati, così illuminati, da poter osservare con indifferenza lo spettacolo brutale, cinico, crudele, che ci propone l’esistenza. Allora avremo disinnescato gli strumenti inferiori ed inattendibili di pensiero detti sentimenti, divenuti superflui e nocivi per la maturazione dello strumento di giudizio”.

Non c’è che dire, i poeti sembrano anticipare le sventure del mondo, purtuttavia è giusto restare ancorati alla speranza che qualcosa cambi.

MAURIZIO CASTAGNA

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