Non è certo il 5 maggio, né io sono il Manzoni.
Certamente il presidente della FIN non è Napoleone sebbene, del còrso, abbia l’atteggiamento
volitivo, la sicumera vincente, la certezza del luminoso personale destino.
Ma, il 5 settembre, ciò che è avvenuto allo Stadio Olimpico, il discorso di insediamento del Presidente per sempre della FIN, il mio vecchio compagno di Nazionale Paolo Barelli, ha certamente il merito di poter rendere, urbi et orbi, le ragioni (e i torti) insomma ciò che divide il mondo dello sport olimpico da quello dell’attività motoria per tutti.
Il Corona virus ha avuto, tra gli altri innumerevoli demeriti, quello di aver posto questioni di grande importanza all’attenzione dei molti, ma in modo distorto.
Il 5 settembre, con un presidente federale altro che immobile, ma certamente vispo e pimpante, ha dimostrato che, quando la confusione è tanta, quelli più svegli, e il caro Paolo lo è, riescono a presentare al colto e all’inclita, ma anche al popolo tutto, magari sprovveduto e becero, la frittata dal verso giusto, senza sbriciolarla al primo volteggio e senza bruciarsi con la padella.
Breviter, il buon Paolo ha fieramente rivendicato il ruolo della federazione nel promuovere “lo sport per tutti”. Ha ricordato che senza le scuole nuoto i bambini italiani non imparerebbero a nuotare (come dissentire?) e senza le scuole nuoto adulti e il nuoto libero in corsia sarebbe vietata ai molti la possibilità di fare della sana attività motoria (che, ci pregiamo di aggiungere, servirebbe e serve a scaricare dai conti dello stato centinaia di milioni di euro, risparmiati dalla Sanità pubblica).
Non fa una piega, se non avessero, i registi della trionfale kermesse capitolina, ricordato, a tutti noi presenti, di quali successi sportivi si fosse fregiata la federazione in questi anni di imperitura oligocrazia: medaglie europee, mondiali e olimpiche a getto continuo, record in ogni dove e su qualsiasi distanza, successi nelle specialità del nuoto, della pallanuoto, del synchro, dei tuffi e del salvamento (sportivo, eh)
E non ci avessero regalato un corposo documento di verifica (dei conti) e programmazione (dei progetti) nei quali si certifica che circa l’ 85% delle risorse della federazione sono destinate alla programmazione olimpica e al sostegno delle società nello sforzo destinato all’ ”Alto Livello” competitivo. Il restante 15% al funzionamento della macchina imperiale (ops) e ai corsi di formazione, dunque alla didattica e alla preparazione di tecnici destinati al mondo delle competizioni (forse fatto salvi solo quelli del salvamento)
Il presidentissimo ha poi chiosato ricordando il danno economico che è risultato dalla chiusura degli impianti per il Corona Virus, quindi la perdita di competitività e certezze delle società sportive, quelle dilettantistiche e quelle sportive di capitale, quelle che gestiscono strutture pubbliche e quelle che usufruiscono dell’impiantistica privata, pubblica e in gestione. Siamo, ovviamente, dalla sua parte. Il confinamento sociale ha messo in ginocchio l’intero paese, figuriamoci quale danno abbia potuto causare nel nostro mondo.
E ha ricordato al Ministro quanta cautela avrebbe dovuto dimostrare nel predisporre un testo di revisione generale dei rapporti di lavoro nel mondo sportivo. Il dramma (per i collaboratori) delle “lettere di incarico” non può essere oggetto di speculazione a danno delle società sportive che vivono di risorse limitate e che raramente producono utili, comunque investiti nuovamente nell’attività agonistica e nel rinnovamento delle strutture. Quindi, Barelli, propone, e noi siamo d’accordo, che lo Stato si accolli, almeno nei primi tre anni (è una provocazione, ma chiedi tanto per ottenere qualcosa) gli oneri contributivi per un nuovo contratto che garantisca ai collaboratori sportivi gli ammortizzatori sociali, quelli a sostegno delle altre categorie del lavoro.
E, infine, chiede, il vetero, neo e futuro presidente della FIN che il Ministro faccia chiarezza. Da una situazione nella quale il CONI con le sue articolazioni, le federazioni sportive, era il dominus in Italia nella programmazione generale dei percorsi destinati all’attività agonistica, oggi, il mondo delle attività motorie, dovrebbe essere regolato da una oligarchia formata da CONI, FNS, Enti di promozione Sportiva, dall’articolazione di gestione rappresentata dal nuovo ente “Sport e Salute”, dal Ministro infine che, rappresentante politico dello Stato, dovrebbe avere l’ultima parola in ogni questione.
E, a sto punto, io cerco, si parva licet, di proporre una soluzione che smascheri la vera funzione delle prime (le federazioni sportive con il CONI) e faccia risaltare l’impegno degli altri (gli enti di promozione sportiva con l’ente Sport&Salute).
Prima di tutto, che finisca questa messinscena della gestione dell’attività motoria per tutti da parte delle federazioni Sportive (tutte, non solo quella del Nuoto). Le Federazioni puntano al successo sportivo, alle competizioni di ogni livello, all’olimpismo. Nel nostro settore le scuole nuoto non si sostituiscono alla scuola e all’insegnamento familiare nel controllo della corretta crescita del bambino e poi dell’adolescente, ma costituiscono la griglia di selezione dei futuri campioni, diciamocelo francamente. Ogni azione motoria, ogni lezione impartita, ogni processo didattico, ogni indicazione tecnica ed etica, presente e futura, portano alla selezione del campione. Non è un accidente, come pare affermare Barelli, che, dalle scuole nuoto, venga poi fuori il campione sportivo, come fosse per caso, è vero il contrario: che le scuole-nuoto, lungi dall’essere palestre di formazione fisica, psicologica ed educativa, sono destinate, esse stesse, alla formazione dei futuri competitori, da quelli meno bravi ai campioni olimpici. E ogni altro corso, per adulti o per anziani, ad altro non serve che a sostenere le spese che la società riverserà nell’attività puramente agonistica (o, perché no, al profitto d’impresa, quando parliamo di società sportive di capitale)
Millantare che le piscine siano aperte per sostenere un progetto educativo e sanitario, anzi millantare che le Società Sportive afferenti alle Federazioni Nazionali Sportive, ed impegnate nella promozione dell’agonismo sportivo, siano il volano di una educazione prima civica e poi motoria a favore della crescita psico-fisica e della tutela sanitaria del comune cittadino, del bambino, dell’adolescente, del giovane uomo, è falso. Può darsi che, incidentalmente, ciò accada, ma non ne è il fine ultimo.
Anche affermare che il campione olimpico è colui che traina in piscina i bambini e gli adulti (in piscina come nelle palestre o sui campi di calcio) è solo formalmente esatto.
E’ vero che l’italiota ha poca “coscienza sportiva”, ma non è detto che non possa crescere e “illuminarsi d’immenso”, oppure che, più verosimilmente, un pragmatico, informato ministro dello Sport e dell’educazione motoria non colga l’occasione per imporre lo sport, pardòn, l’attività motoria, nelle scuole e negli uffici, come nei ministeri e nelle officine.
Le Federazioni Sportive Nazionali nascono in funzione dell’agonismo sportivo, anzi delle vittorie olimpiche, dell’affermazione dei colori azzurri nei tornei continentali e mondiali. Vale per la FIN e per ogni altra disciplina sportiva.
Deve esserci un criterio di discernimento tra promozione dell’attività motoria e raggiungimento dei vertici sportivi agonistici, altrimenti, proprio come ha affermato il Presidente Barelli, a governare lo sport in Italia si troverebbero ad essere soggetti ed enti in evidente contraddizione nell’eterogenesi dei fini.
Al CONI dovrebbe essere demandata soltanto l’attività agonistica dei settori olimpici, con contributi provenienti dallo Stato (in misura percentuale minima) dagli sponsor, dagli associati, dalle manifestazioni ed eventi prodotti, dalla pubblicità e dalla gestione degli impianti ai fini primari dedicati. Le FSN, ovviamente, rappresenterebbero il volano del principale Ente sportivo che le raggruppa e rappresenta. Al CONI andrebbe lasciata autonomia amministrativa e propositiva nella gestione delle attività di competenza, e la promozione e la conduzione, di concerto col Ministero dello Sport e dell’Attività Motoria Pubblica, dell’organizzazione di eventi internazionali sul suolo nazionale.
A questo nuovo Ministero andrebbe demandata la funzione di indirizzo dell’attività denominata “sport per tutti”, la funzione sociale, sanitaria ed educativa dell’attività motoria in genere. Di concerto con Sport&Salute (ente sostenitore e sussidiante) e con gli Enti di Promozione Sportiva. Tali strutture dovrebbero interessarsi alla tematica del Terzo Settore, con gli ETS (enti del terzo settore) in senso propositivo, specialmente nelle iniziative riguardanti la disabilità negli aspetti motorio e cognitivo-relazionale e a supporto delle famiglie in stato di bisogno sociale.
Tutta l’attività denominata “sport per tutti” andrebbe sorretta in maniera decisa dallo Stato, in proporzione assai maggiore rispetto agli emolumenti concessi al settore agonistico, e dalle Fondazioni, dagli enti di promozione, dai privati che intendono investire nel Terzo Settore
Rimarrebbero insoluti e da risolvere due problemi. Come potrebbero a ciò adeguarsi le ASD e le SSD e come dovrebbero essere disciplinati i rapporti di lavoro con i collaboratori.
Le società sportive potrebbero scegliere i settori di investimento in risorse, uomini ed obiettivi. Ai collaboratori del settore dello “sport per tutti” potrebbero essere riconosciuti contributi gratuiti dallo Sato per i primi 3 anni, e il 50% di questi per tutti gli anni successivi, come dipendenti di società di interesse pubblico (nell’agonismo sportivo, lo Stato potrebbe fornire sussidi pari al 50% dei contributi da versare per i primi 5 anni, lasciando poi l’onere alle società)
Potrebbe sembrare troppo semplicistico, e in effetti lo è. Ma la matassa è talmente aggrovigliata che uno sforzo interpretativo andava fatto
Le ASD o SSD interessate allo sport per tutti agirebbero come le palestre sportive, come centri per lo sport, aperti all’attività motoria, all’educazione motoria, alla rieducazione e alla riabilitazione, alla psicomotricità, alla ginnastica posturale globale, alle attività che, fondamentalmente, interessano i “praticanti”.
Quelle, invece, volte a promuovere lo sport di alto livello sarebbero deputate agli investimenti dedicati alla crescita dei settori giovanili e al mantenimento dei risultati sportivi. Ovviamente potrebbe essere permesso -sarebbe opportuno farlo- che in un singolo impianto (piscina, palestra, campo di calcio, palazzetto) agiscano società affiliate al CONI con le FSN e altre sostenute da “Sport e Salute” attraverso l’affiliazione agli EPS. In tal caso, le scuole sportive per ragazzi andrebbero viste come propedeutiche all’attività multidisciplinare. Solo in casi particolari ed ineluttabili, fungerebbero da fucina per inviare i più promettenti dal punto di vista agonistico alle scuole tecniche per l’avviamento alle competizioni sportive.
Questa netta distinzione genererebbe un meritorio corollario, relativo all’educazione dei genitori. Portare i propri figli a far sport dovrebbe significare garantire loro salute e crescita armoniosa dal punto di vista auxologico, organico, endocrinologico e posturale, un atteggiamento caratteriale volto al dovere, all’ educazione e al rispetto dei maestri, non proprio, come molti sprovveduti papà e mamma credono, un conto in banca o podi olimpici.
E anche il mondo delle tifoserie varie dovrebbe poter accorgersi, posto tale distinguo, quanto sia dissimile la visione puramente agonistica dell’evento sportivo, da quella educativa, formativa e salubre dell’attività motoria.
Un evento meraviglioso per l’Umanità, una donna che annuncia la maternità, è stato accolto con rabbia e scherno dai tifosi craniolesi della squadra di pallavolo di Casalmaggiore, atteso che la futura mamma sia il capitano della squadra.
Qui mi fermo, sarò subissato di improperi ma, 67 anni di vita, 61 dedicati in ogni collocazione, funzione e ruolo allo sport, mi hanno consigliato in tal senso.
Poi, i presidentissimi avranno sempre il manico (oramai, con i tempacci che corrono, solo della scopa di saggina) dalla loro parte, visto che pare sia impossibile educare i fan e gli spettatori paganti e non paganti al godimento di un gesto sportivo in quanto tale, senza che ne consegua una vittoria entusiasmante, senza aver la possibilità di fare il tifo per questo o per quell’atleta.
Ai posteri l’ardua o la quasi impossibile soluzione del caso, ai presenti la confusione e la mala gestione dello sport in questo disperato paese
MAURIZIO CASTAGNA
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