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L’infanticidio differito ovvero la καταστροφή dell’organismo sociale

Aggiornamento: 28 giu 2020


In un precedente articolo ho cercato di individuare quali possano essere le caratteristiche che

Crepe nella terra arsa
Argilla

accomunano i popoli che, pur vagheggiando quale sia l’Istituzione più adatta a rappresentarli, relativamente alle proprie consuetudini, cultura e attitudini e soprattutto fuori da ogni vincolo di sudditanza coloniale, si trovano aggiogati al carro del colonizzatore di turno.

Le ripetiamo in sintesi:

Le narrazioni asimmetriche da parte di chi detenga il Potere, false ma difficilmente contestabili.

Militarizzazione del territorio, elites locali corrotte, un regime burocratico opprimente e colluso, una criminalità organizzata e, in qualche modo, eterodiretta e che soffochi il territorio.

La messa al bando della lingua locale, veicolo di informazioni per il popolo e di intermediazione culturale, scientifica ed umanistica.

La desertificazione del territorio, abbandonato senza infrastrutture, con la fuga di migliaia di giovani in cerca di lavoro verso l’estero. E, principalmente, verso gli stati imperialisti.

La gestione della pubblica economia affidata a soggetti non eletti democraticamente, sconosciuti al popolo e riconosciuti (e indicati come “tecnici”) da élites finanziarie dominanti.

Questi sono i bastioni sui quali poggia l’architrave del nuovo ordine mondiale. Ma, da sempre, su cui poggiano le violazioni dei territori liberi e delle garanzie costituzionali dei popoli liberi.

Ma serve altro per mettere in ginocchio generazioni di persone che, nel corso dei secoli, talora con salti di secoli, avvertano l’ebbrezza della libertà.

Sui passi delle indicazioni culturali e delle intuizioni di Sabino Acquaviva e Nicola Zitara, due giganti del pensiero scomodo in Italia, provo ad approfondire il tema di studio.

Come si distrugge l’anelito alla libertà di gente che condivide assunti culturali forti, necessari alla sopravvivenza di comportamenti che cementino il tessuto sociale?

Cominciamo col dire che, come prima distinzione tra paesi occupati e paesi occupanti si debba partire dalla costatazione che i primi sono sostanzialmente abitati da popoli pacifici, i secondi da gente dedita alla guerra.

Acquaviva afferma che la guerra, definita funzionale dagli studiosi che appartengono a questa categoria di pensiero, desertifica la forza e le speranze di reazione di un popolo colonizzato e costretto a fornire uomini e mezzi per l’occupante guerrafondaio.

Il differimento dell’infanticidio dei figli del popolo, di cui parla Bouthoul, nei paesi soggetti a dominazione, palese o occulta che sia, diviene norma sia attraverso le guerre, di annessione o esterne o di stabilizzazione nella colonia interna, sia con la fuga dei giovani in cerca di pane e lavoro.

Anche io avevo provato a sottolineare la differenza profonda di comportamenti rispetto alla guerra tra i popoli che conquistano e quelli conquistati o, almeno, quelli che cercano di evitare le guerre come strumento di offesa (vedi Blog nel sito www.mauriziocastagnascrittore.com articolo del 22 febbraio: “La leva militare - Come i meridionali hanno sempre considerato le guerre di espansione territoriale”)

I funzionalisti hanno una visione strategica della guerra, pensiamo all’esaltazione di essa da parte dei futuristi in Italia (più sul versante della polemica artistica e filosofica che su quella più sottile e maleodorante della speculazione politica ed economica). Essi indicano nella guerra un possibile traino per i progressi tecnologici, per garantire la fortuna dei gradi imperi economici e per cementare le componenti sociali: coesione che si viene ad instaurare persino tra il colonizzato e il suo oppressore. Tranne rari casi da contarsi sulle dita di una mano, ciò ineluttabilmente avviene, come se essere servile in guerra sia più appagante che in pace, o perché, semplicemente, la propaganda che ti fa accettare d’essere felicemente suddito di fronte al tuo signore e conquistatore, serve altresì a mostrartelo difensore del bene contro l’aggressore - o, il più delle volte, l‘aggredito - esterno.

Esportare forza lavoro o restare uccisi sul campo di battaglia o sotto i bombardamenti, per gli interessi dei colonizzatori, comporta lo stesso risultato, positivo: un freno alla capacità del popolo colonizzato di reagire al dominio dell’occupante.

Nicola Zitara ci fa riflettere sul fatto che, dopo l’annessione del Sud, il notabilato interno alle regioni meridionali fosse restato senza risorse quando, abbagliato dalle possibilità offerte dal nuovo alleato sociale che scendeva dal Nord, si era poi trovato costretto a subire le conseguenze delle nuove politiche aggressive nei confronti del territorio e dell’imprenditoria meridionale. E i giovani rampolli delle grandi casate senza più ricchezze, dei latifondisti senza più lavoratori, o degli industriali senza più commesse erano costretti per sopravvivere a studiare e cercare scampo in una diversa e meno disperata diaspora dei poveri disgraziati, per trovare occupazioni coerenti alle loro competenze e agi relativi al vecchio costume.

E, suggerisce l’analisi zitariana, siccome questa categoria, poi allargatasi anche ai figli della borghesia parassitaria, poi ai giovani provenienti da quella imprenditrice e da quella impiegatizia, persino dalle fila delle famiglie proletarie, tende costituzionalmente ad abbracciare i costumi del paese che l’ospita, ad avvolgersi nella sua cultura, per sopravvivenza o per abbaglio, è usa ripetere i riti dei dominatori a scapito, addirittura, del popolo dal quale proviene. La cosiddetta diaspora illuminata, l’intellettuale organico non in senso gramsciano, ma in quello del suo alter ego, abbagliato dalle strutture economiche e culturali dell’imperialismo. Quella diaspora che poteva portare luce ed ossigeno al territorio di provenienza, solo alcune volte si traduce in nuove opportunità di lavoro per gli investimenti produttivi nella propria terra. O ancora, per una battaglia politica e sociale che si traduca in uno sforzo coinvolgente l’intero popolo da cui si proviene.

Il più delle volte produce figli nemici dei padri. Missi dominici del nuovo padrone

Guerra interna ed esterna e proletariato e notabilato esterno (rispetto al proletariato ed al notabilato dello Stato invasore) riducono le speranze di rivoluzione sociale, culturale e territoriale delle Nazioni senza Stato.

La spoliazione vitale delle terre meridionali è passata attraverso una serie di tappe : la guerra di conquista anglo piemontese con circa 700.000 morti; le guerre coloniali crispine; le fucilazioni degli operai e dei contadini in sciopero; l’emigrazione di massa, prima dei disperati, poi delle classi colte: la guerra italo-turca; la prima e la seconda guerra mondiale; la seconda emigrazione di massa verso il Nord e l’estero negli anni del boom economico; infine, oggi, l’emigrazione dalle terre del Sud di milioni di giovani meridionali, fuggiti da un territorio spogliato delle risorse, degli investimenti e delle infrastrutture.

Se facciamo attenzione, riflettendo su diversi ma simili avvicendamenti storici, che ricalcano le stesse dinamiche: guerra, disastro economico, involuzione produttiva, regresso sociale, possiamo ripercorrere le ineluttabili vicissitudini dell’Irlanda, dei popoli nativi americani, delle genti soggette alla colonizzazione francese in Africa e, perché no? in Corsica, con lo stesso sgomento.

E’ decisamente un modus operandi che adesso, non potendo distruggere se stesso con guerre devastanti come furono le guerre mondiali, il Sistema cosiddetto Occidentale mutua in forme diverse, assumendo, la Speculazione Finanziaria, con la maledizione dei suoi Trattati asimmetrici, la struttura di una guerra apparentemente senza spargimento di sangue. Apparentemente, dovendo poggiare pure sulle provocazioni terroristiche, sulle guerre imperiali nel terzo mondo, sulle guerre sostenute con la finanza e le armi e provocando, come dire, per procura, decine di suicidi di imprenditori e lavoratori disperati. Tutto cambia per nulla cambiare.

MAURIZIO CASTAGNA

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